Confindustria Moda ha trovato Casa, missione compiuta di Calenda
Tutte le principali associazioni della moda entrano in una sola e traslocano in un unico palazzo: uno stabile di quattro piani in via Alberto Riva Bellasanta
Quando il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda twittava che “ancora due cose” da fare e poi avrebbe sentito di aver chiuso il mandato con la coscienza a posto, forse dimenticava di poter già contare nel palmarès il miracolo di aver unito, per la prima volta nella storia, tutte le principali associazioni della moda in una sola e di averle addirittura fatte traslocare in un unico palazzo: uno stabile di quattro piani in via Alberto Riva Bellasanta, ex fabbrica di cravatte, a due passi dalla Rai e dal liceo classico Beccaria. Le sigle della neonata Confindustria Moda come Anfao, Assocalzaturifici, Federorafi, Aip, Aimpes, Smi, Unic, riuniscono 67 mila aziende per circa 90 miliardi di euro di fatturato e, secondo quanto anticipa al Foglio il presidente di Confindustria Francesco Boccia, che inaugurerà la struttura martedì prossimo, 15 maggio, “la moda è un patrimonio enorme e uno dei settori chiave dell’economia del nostro paese che, nonostante la crisi, non ha arretrato. L’Italia può vantare una tradizione manifatturiera antica, ricca di saperi, che coniugata al design e all’innovazione moderni fa di questo settore l’emblema del nostro made in Italy che il mondo riconosce e ci invidia, esempio di bellezza ed equilibrio. Un asset d’eccellenza, strategico, nonché chiave di successo del nostro export, ma anche patrimonio da proteggere: il fashion è una grande punta avanzata su cui dobbiamo investire come paese e come industria.
"L’alta gamma è lo specchio del saper fare, di conoscenze e competenze esclusive, della creatività e della competenza della manifattura italiana che da sempre sono fonte di ispirazione dell’industria culturale e creativa”. Nel palazzetto di impianto severo convivono adesso cento professionisti, fra uffici studi, commerciali, stampa delle tante associazioni di cui le fiere – Mido (occhiali), Mical e Mipel (scarpe e borse) – sono il braccio armato, cioè il più visibile. Come siano riusciti Calenda e il suo uomo di fiducia nella moda, il presidente di Confindustria Moda e Pitti Claudio Marenzi, a far fare il famoso “sistema” a un sistema notoriamente refrattario alla collaborazione è presto detto: la minaccia di tagliare i fondi per sostegno e promozione all’estero. Qasi tre anni fa, il ministro riunì tutti attorno a un tavolo e disse che avrebbe investito molti soldi, ma davvero molti, a sostegno di un sistema di eccellenza come la moda, purché fossero stati messi da parte particolarismi e vanità. Il presidente di Camera Moda Carlo Capasa tentò di far pesare i nomi dei brand che rappresentava secondo la vecchia logica di Mediobanca epoca Cuccia ma, essendo appunto quell’epoca tramontata, le cose si sono evolute altrimenti e Marenzi guida, affiancato da Cirillo Marcolin nelle vesti di vicepresidente, la neonata Confindustria Moda e il palazzetto che ne racchiude ambizioni e fortune. Mentre Camera Moda è riuscita a restare nei suoi nuovi, prestigiosi uffici con affaccio su piazza del Duomo. La festa per l’apertura della “Casa della Moda”, com’è già stata ribattezzata con logiche lessicali neorealiste, arriva quattro mesi dopo l’ultimo insediamento. Per qualcuno, come per Aimpes-Mipel, divisa fra vari locali non troppo fascinosi in viale Beatrice d’Este, pare che il cambio sia stato molto vantaggioso. Per altri, come Aip, i pellicciai presieduti da Roberto Scarpella, abbandonare lo strepitoso palazzo di corso Venezia, affittato a costi vantaggiosissimi e quasi a tempo illimitato, la decisione è stata fonte di qualche pensiero. Gianfranco Di Natale di Smi e Astrid Galimberti di Anfao, i due co-direttori della mega-associazione, ormai la seconda in seno a viale dell’Astronomia, di recente hanno detto di voler considerare “via Riva Bellasanta” (gergo interno) come una fucina di nuove idee. Di certo, verranno compattati uffici studi, uffici legali e altre attività che, come direbbe Calenda, “non facevano sistema”.