Serve una lunga marcia delle idee per superare il modello Milano

Fabio Massa

Da Mark Lilla agli uomini (Pd) per ripartire. Non solo economia, ma nuovi format politici. Intervista con Andrea Tavecchio

Andrea Tavecchio (foto sotto) un po’ se lo coccola, il volume “L’identità non è di sinistra” di Mark Lilla, ricevuto in dono con dedica dall’amico Guido Roberto Vitale. Se l’è divorato, poi l’ha digerito, assimilato. Professionista milanese quarantenne, fondatore di Tavecchio Caldara e Associati, già consulente per i governi Monti e Renzi. Renziano, indubbiamente sincero e appassionato. Con il Foglio riparte proprio dall’intervista a Vitale della scorsa settimana. E, ça va sans dire, da Lilla. “La visione politica è qualcosa che non puoi comprare. Non puoi allevarla, non puoi trovarla scavando o andando a caccia. Non ci sono laboratori per scoprirla”. E ancora: “L’avvento di leader con il dono della visione è impossibile da predire quanto il ritorno del Messia. Tutto quello che si può fare è prepararsi”. Prepararsi alle idee, e per sintetizzare il tutto si possono usare i baffoni del vecchio Grover Cleveland: “A che serve essere eletto o rieletto se non ci si batte per qualcosa?”. Ovvero, qualche idea. Sperabilmente chiara e non confusa. “Il problema è che di grandi leader, allo stato attuale, non ne abbiamo. E pure di idee che mobilitino, che generino consenso, siamo a corto. Non fosse altro che, altrimenti, le avremmo già tirate fuori”, spiega Tavecchio al Foglio. Tomografia di un disastro. Tavecchio è un renziano dispiaciuto, ma non deluso: “Avrei voluto che Renzi staccasse dopo il referendum, ma ho capito perché è andato avanti”, dice.

 

Poi si riparte dal chiostro del Piccolo, dove si colloquia. Si riparte da Milano assediata da maree carioca al potere nel resto dell’hinterland, della provincia, della regione, dell’Italia. “Dall’assedio si esce con il modello Milano? Ne dubito. Secondo me non c’è un problema di offerta del modello Milano, ma di domanda. Chi lo vuole? La controprova si chiama Giorgio Gori. Guardate Gori e Sala: in fondo sono molto simili: vengono dalla società civile, sono capaci di parlare con i media, hanno storie che possono piacere all’elettorato, sono tutti e due politicamente nati nel renzismo. Eppure, Gori ha perso. E non credo neanche che sia un problema di recuperare a sinistra. La sinistra radicale è proprio scomparsa”. Quindi, Milano? “Milano penso che abbia votato per il Pd e abbia un giudizio complessivamente positivo del renzismo, perché vede nell’Europa e nell’Euro punti di arrivo. In più è una città ricca: come dice Pif, se non vivi vicino ai campi nomadi, è più facile essere tolleranti. Io non credo che ci sia un modello Milano. Credo che ci sia una città ricca che funziona. Se ci fosse un modello Milano, Gori non avrebbe perso così come ha perso”. Ora la frase fatta è: ripartiamo da territori. “E da dove partiamo, che non ne abbiamo più? Bisogna fare invece come la destra americana negli anni ’70 (e torniamo al mantra-Lilla, ndr). Dobbiamo ripartire dalle idee, anche perché non penso che la luna di miele di Lega e 5 Stelle con gli italiani sarà tanto breve”.

 

Presagi foschi, costruiti nel passato. “Mica la Lega è nata ieri. E’ passata dal 4 al 17 per cento, ma ci ha messo 18 anni. Diciotto. E non è partita da Salvini. Il M5s è passato dallo zero per cento al 32. Ma ci ha messo 10 anni, e non è partito da Di Maio. Capisco la voglia di rivincita immediata, ma dubito che esistano scorciatoie”. Perché il Pd si è schiantato? “Il renzismo aveva intercettato la voglia di cambiamento. Si schianta quando diventa status quo, io ritengo anche per colpa di una durata eccessiva del governo Gentiloni. E non voglio criticare Gentiloni, la cui qualità è altissima”. Renzismo come conservazione invece che come innovazione. Contraddizione? “Incredibile, perché Renzi (lo posso testimoniare con i miei occhi, essendo stato sia consulente del governo Monti che del governo Renzi) è stato un rottamatore assoluto di tutto quello che la borghesia illuminata ti dice sempre di combattere: corporazioni, gruppi di potere. Renzi è stato uno scardinatore, anche troppo”. Ora però, il consiglio di Tavecchio è: riposo. E studio.

 

Renzi oggi dovrebbe prendersi un periodo di pausa. Su questo sono d’accordo con Vitale: Gentiloni, Calenda, Minniti e Renzi sono quelli da cui ripartire”. Calenda? “E’ stato un bravo ministro, ed è una persona per bene. Ma qui non è una gara sui cento metri, bisogna adottare il passo del mezzofondista. Bisogna fare come hanno fatto loro: prima hanno creato il dibattito, poi hanno creato gli strumenti. Guardate i Cinque stelle, hanno creato un format: Di Maio, Fico, Di Battista sono intercambiabili. Lega e M5s hanno creato, piaccia o non piaccia, un humus culturale. Una proposta nella quale qualcuno si è ritrovato. Qual è stato l’errore del renzismo? Che mentre gli altri lanciavano temi generali di identità, culturali, larghi, noi abbiamo fatto i cento provvedimenti fatti e da fare. Non abbiamo dato una prospettiva”.

 

#cercasiutopia? “Più che altro, idee. E leader”. Renzi è intercambiabile? “Diciamocelo chiaro: con l’energia di Matteo non c’è nessuno. Ma oggi non è spendibile. Dopodiché la prossima sfida elettorale sono le Europee. E penso che la borghesia milanese possa magari non sentire vicino il modello Milano, ma possa vedere bene l’alleanza tra Macron e Ciudadanos”. Presupponiamo che le europee siano sexy… “Se sull’Europa si riesce a fare la stessa propaganda che hanno fatto loro su altri temi, imponendo l’agenda, sì. Se invece continuiamo a inseguirli stiamo freschi. Certo, se pensi con Saviano e Majorino di vincere, stai là vent’anni a perdere”. Dal modello Milano alla Ricetta Milano, quella della tavolata multietnica. “Il problema  non è la tavolata, che pure vorrei vedere come l’hanno vissuta in periferia, ma è il concetto. Majorino che invita Saviano è aprire le porte ancora una volta all’antipolitica. Si sta tornando al vecchio modello del girotondo. Anche il renzismo è stato debole su questo: leva i vitalizi, leva il finanziamento pubblico, metti la società civile sopra ogni cosa. Guarda un po’ come è la società civile del M5s… No, non credo che servano i girotondi. Credo – e insisto – che servano le idee”.

 

Ma non è che Renzi Milano non l’ha mai capita a fondo? “Al contrario. Il renzismo è stato a trazione fortemente milanese. Molto più di quanto sembrasse, anche perché il milanese ostenta meno la vicinanza alla politica. Sulle partite economiche soprattutto di tipo strategico ha avuto un ruolo importante Andrea Guerra. Sui temi macro economici una voce molto ascoltata è stata quella di Francesco Giavazzi. E nel gruppo di policy a Palazzo Chigi coordinata da Nannicini, ordinario in Bocconi, c’erano tra altri Leonardi, Del Conte, Galasso, Cerrato, io stesso: tutti professori o professionisti milanesi. E poi Renzi culturalmente ha capito i bisogni di Milano e del business. Se vogliamo trovare un errore, è stato quello di sembrare troppo legato ai rapporti di fedeltà”. La prossima sfida sono le Europee: “Lo so che non è sexy, ma al momento l’unico lavoro utile che vedo è sul metodo e sugli strumenti. Analisi dati, incubatori di associazioni, formazione di volontari e di nuove persone che possano impegnarsi in politica, campagne tematiche che vivano fuori dai partiti. Un lavoro lungo. Ma al momento stiamo combattendo con la spada mentre altri hanno scoperto la polvere da sparo. Dobbiamo dotarci di nuove armi e strumenti, poi vediamo chi li userà. Tra questi è nata Europa 21 Secolo, con Tommaso Nannicini, Guido Roberto Vitale, Vincenzo Galasso, Marco Leonardi, Alessandro Fracassi e altri amici ed amiche. L’abbiamo fondata prima delle elezioni del 4 marzo. Pensiamo che l’Europa sia un tema largo, forte, bipartisan. Occorre tornare a ragionare sui temi che riguardino la maggioranza del paese, non solo le minoranze, per dirla con Lilla”. Invece, per dirla con Gori: “A forza di pensare agli ultimi ci siamo scordati i penultimi e i terzultimi”.