Ecco cosa ruota attorno al Milan
Come e perché Marco Bogarelli punta sul Milan americano per la sua grande rivincita. Ma è dura
E’ milanese e milanista. A Milano è nato (1956), cresciuto, ha studiato e si è laureato (Bocconi), ha mosso i primi passi nel business (Media Partners, 1995) e ha creato il suo impero, quello legato alla gestione dei diritti sportivi confluiti nel 2006 nel colosso elvetico (oggi a controllo cinese, Dalian Wanda) Infront. E qui vuole tornare. Per dettare legge. Perché per anni, quasi 20, Marco Bogarelli è stato di fatto il padrone del calcio italiano. L’uomo, dal trascorso targato Fininvest, che ha fatto ricchi la gran parte dei club di Serie A, garantendo loro incassi più che dignitosi dalla vendita dei diritti televisivi e dalla relativa redistribuzione fino ad arrivare alla cifra record di 945 milioni all’anno per il triennio 2015-2018. Una manna soprattutto per le squadre di taglia più piccola, che necessitano come il pane degli introiti tv, alle quali poi magari la Infront di Bogarelli offriva anche servizi di natura commerciale, di marketing e di supporto a livello pubblicitario. Insomma una rete sicura, un materasso morbido che consentiva a Bogarelli, grande tifoso del Milan e grande amico di Adriano Galliani, di dettare legge e agenda. Ecco, quel mondo fatato, all’improvviso, a metà del 2016, si è spezzato. Perché i cinesi di Dalian Wanda, proprietaria dal 2015 di Infront (hanno messo sul piatto oltre 1 miliardo) hanno dato il benservito al top manager e al suo braccio destro, Giuseppe Ciocchetti, per affidare la gestione del branch italiano al renziano Luigi De Siervo, dirigente fiorentino di scuola Rai (vi entrò nel 1999 dopo esperienze in gruppi tedeschi del food e americani del retail). L’uscita, fragorosa, di scena del vero dominus del calcio italico era legata non solo al cambio di proprietà di uno dei principali broker di diritti a livello mondiale, ma anche all’inchiesta aperta dalla Procura di Milano proprio sul filone della valorizzazione delle immagini della Serie A, che Infront gestiva dal 2009. Tutto scoppiò in seguito alla maxi multa di oltre 66 milioni comminata dall’Antitrust a Mediaset (oltre 51 milioni), Sky Italia, Lega Serie A e, appunto, Infront per la spartizione dei diritti relativi al periodo 2015-2018 che fecero emergere tensioni tra i due broadcaster che poi alla fine risolsero tutti a tarallucci & vino, prendendosi ognuno il pacchetto di immagini di competenza: Sky quelli per il satellite, Premium quelli per il digitale terrestre.
Ecco, quell’inchiesta aperta dai magistrati per fare luce su una associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta, autoriciclaggio, truffa aggravata, ostacolo alle funzioni di vigilanza, evasione fiscale è finita nel nulla. E adesso, dopo il rischio di arresto, Bogarelli, assieme al fidato Ciocchetti, è tornato pienamente operativo. E ha uno scopo: riprendersi il calcio, rientrare dalla finestra della Confindustria del pallone. Come fare? In che modo riuscire a riprendersi il “maltolto”, considerando che ai tempi d’oro Infront gestiva anche l’immagine dell’Inter di Thohir (ora coi cinesi la musica è cambiata) e pure della Nazionale (gestione Figc targata Carlo Tavecchio)? La risposta è una sola: tornare protagonista del calcio giocato. Come riuscirci? Dapprima aprendo tre nuove società che si occupano sull’asse Milano-Londra di immagini e diritti televisivi. E poi calando l’asso e tenendosi il jolly di riserva.
La prima opzione, l’asso, però per ora è svanita: faceva perno sull’intermediario spagnolo Mediapro (ora cinese al 53,5%, con Orient Hontai) che stava per accaparrarsi le immagini della Serie. Questa opportunità però, probabilmente grazie alla forza di club quali Juve, Roma e Napoli e alla forza commerciale e non solo di Sky, oltre che alla barra dritta tenuta dal numero 1 della Lega, Gaetano Micciché, è sfumata, visto che Mediapro nel giro di alcuni mesi ha fatto fagotto. E allora non resta che giocarsi il jolly, il caro vecchio Milan. La partita non è certo semplice, ma Bogarelli non demorde. E allora perché non affiancare, direttamente o indirettamente, l’italo-americano, di origini calabresi, Rocco Commisso, il patron dei Cosmos di New York la cui casacca fu indossata anche da Altafini e Pelè, e del gruppo Mediacom. Che il deal lo interessi la ho fatto capire lo scorso 11 giugno quando, in piena bagarre diritti tv, ha dichiarato all’Ansa che il Milan valeva almeno 1 miliardo. Guarda caso la stessa cifra monstre sognata da Silvio Berlusconi che ha patito le pene dell’inferno (rossonero) prima di mollare, su input o diktat di Marina e Pier Silvio, e soprattutto di Fininvest, il controllo del club al carnede Yonghong Li. L’imprenditore cinese che ha i giorni contati in termini di azionista unico della squadra visto che non ha garantito l’ultima tranche dell’ultimo di capitale da 32 milioni necessari al Milan per iscriversi al campionato e garantiti invece dal fondo Elliott, pronto nell’arco di pochi giorni, a prendere in mano il 100% del capitale della società. Commisso, assistito da Goldman Sachs, ha promesso a Li 500 milioni e la possibilità di restare nel capitale con una quota di minoranza. Ma il cinese continua a fare melina, rischiando grosso. E proprio per cercare di convincerlo il patron dei Cosmos si era fatto affiancare in qualche modo da Bogarelli che conosce le regole d’ingaggio del sistema italiano. E che vuole, fortissimamente vuole, rientrare sul palcoscenico più mediatico che ci sia, quello del Dio-pallone. Provando a prendersi una rivincita epocale. Ma adesso c’è la sentenza Uefa sul Milan, e il pallone ce lo ha in mano il fondo Elliott. Siamo agli ultimi minuti. Che gran partita.