Sui Navigli di Milano c'è una bella guerra (generazionale) tra architetti
Tra chi sogna una nuova Amsterdam e le perplessità di chi paventa costi economici, urbani e sociali insostenibili
Gli incontri pubblici promossi dal Comune sulla riapertura dei Navigli stanno dimostrando l’esistenza di un’opinione pubblica divisa tra gli entusiasmi di chi sogna una nuova Amsterdam all’ombra della Madonnina e le perplessità di chi paventa costi economici, urbani e persino sociali insostenibili. Ma una divisione esiste anche tra gli architetti milanesi tra cui è in corso un dibattito dai toni anche aspri. Da una parte uno schieramento che vanta mostri sacri come Vittorio Gregotti, Stefano Boeri e, in modo particolare, Beltrami Gadola, critici a livelli diversi del progetto elaborato da Antonello Boati. Dall’altra il favore di Mario Bellini, altro esponente del gotha dell’architettura milanese. L’aspetto più interessante di questo confronto è che i giovani ne sono estranei o comunque risultano piuttosto freddi. Premesso che sino a 50 anni, in questo mondo, si è considerati ancora pre-adulti, appare singolare come su un tema di così grande portata per la città si sia verificata una frattura generazionale. Per Nicola Brembilla, 38 anni, formatosi a Venezia, gioca molto il carattere passatista del progetto: “Questo progetto appassiona gli over 60 – spiega al Foglio – la mia generazione lo vede come un tema vecchio, cappellone: è stato impostato come un ripristino, un riaprire e non un rifare, raffreddando così i giovani che non sono riusciti a trovare motivazioni sufficienti“»”.
Dal percorso di Brembilla emerge un iniziale fervore, con l’adesione al comitato di Cappato nel 2011 che chiedeva la riapertura dei Navigli, che si poi tramutato in scetticismo: “E’ cambiato il progetto e anche i metodi, si è passati da un investimento importante di 400 milioni a uno più modesto di 150, il congiungimento della Martesana con la Darsena è stato sostituito dalla creazione di 5 tratti-canali. Il punto decisivo per farmi cambiare idea è che tutta l’operazione è viziata dal peccato originale della nostalgia, come ha notato anche Gillo Dorfles prima di morire: Milano è una città che guarda al futuro non può vivere di nostalgia, il tema Navigli deve evocare rigenerazione ambientale non il sogno di realizzare una piccola Venezia”.
Tra i più giovani le reazioni sono ancora più sprezzanti. Ragionare di riportare in vita i canali in città è un po’ come chiedere a chi ha lasciato gli studi di ripetere le poesie dei classici imparare a memoria a scuola: “Quando eravamo all’università – ricorda Laura Levi, 32 anni, formatasi al Politecnico – tutti noi abbiamo ridisegnato la Cerchia dei Navigli, abbiamo partecipato ai laboratori, faceva parte dei progetti scolastici. Se non ci scaldiamo è perché questa idea non fa più parte di noi, non siamo né Amsterdam né Venezia: Milano è nata dalla necessità, le vie d’acqua rispondevano all’esigenza di dotarsi di vie di trasporto ma oggi quelle esigenze sono cambiate, credo che il tema del verde sia ben più importante”.
I Navigli, insomma, sono solo un ulteriore fattore che allarga il solco generazionale. Non solo diverse concezioni del modo di lavorare e intendere l’architettura ma anche cifre comunicative diverse: “Usiamo mezzi doversi – aggiunge Levi – loro lavorano di più sui giornali, su riviste storiche come Casabella e Domus mentre noi giovani siamo sul web: siamo mondi diversi, non c’è interlocuzione”.
Di conseguenza sono altri i temi che scaldano i cuori degli architetti della nuova generazione. Come spiega Erica Bagarotti, 41 anni, formatasi al Politecnico, “pensare la rigenerazione urbana di Milano significa puntare sul verde, rilanciare l’idea di un collegamento dei parchi cittadini che formino una cintura verde: sarebbe un investimento con ricadute positive su tutto il tessuto urbano. Restare legati ai Navigli significa, invece, non capire che la città è cambiata, il suo tessuto è modificato e non tornerà mai come prima: direi che Milano ha bisogno di un progetto nuovo non di uno che prevede una riapertura”.