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Cin cin. Milano è diventata la capitale del consumo di Champagne

Paola Bulbarelli

Secondo le ultime stime sono almeno due milioni ogni anno le bottiglie stappate sotto la Madonnina

Come recita un vecchio proverbio russo, “chi non rischia non beve champagne” un detto che per i milanesi è come un gioco da bambini. Piace rischiare da queste parti, al punto che sono almeno due milioni ogni anno, secondo le ultime stime, le bottiglie stappate sotto la Madonnina e che fanno di Milano la prima città in Italia per il consumo di champagne. A dire il vero, gli appassionati aumentano un po’ ovunque. Nel 2017 è cresciuto del 9,7 per cento il valore delle spedizioni di bollicine francesi verso l’Italia, quinto mercato mondiale per il celebre vino con un fatturato di 152,2 milioni di euro. Da gennaio a dicembre 2017 le bottiglie giunte in Italia sono state 7,3 milioni con un incremento dell’11,1 per cento rispetto all’anno precedente per un giro d’affari che segna un nuovo record con 4,9 miliardi di euro. Non solo nei locali o negli hotel ma molto consumo a casa. Diversi clienti privati, grandi appassionati, organizzano a casa e lo champagne scorre a fiumi dai canali di una ricerca-distribuzione assai sofisticata. Nomi top secret super blindati e, come tutte le aziende del lusso, con ottime agende.

 

“Circa il 30 per cento dello champagne che arriva in Italia viene bevuto a Milano, un peso notevole – spiega Stefano Della Porta, direttore commerciale di Laurent-Perrier Italia – Gran parte viene consumato secondo il canale Horeca (acronimo di Hotellerie-Restaurant-Café o Catering) ma ciò che è da rilevare è la competenza dei milanesi che non si fermano al marchio famoso, apprezzano quelli delle gran maison, quelli che hanno ancora una dimensione famigliare, stili diversi perché ogni maison ha la sua ricetta segreta o punta sul prodotto più che sul marketing”.

 

Nel tempo, la qualità del bere si è innalzata non poco e sono molte le enoteche con mescita dove si consuma tantissimo champagne: dalla Coloniale alla Cantina Isola o la Cantina di Franco, posti che sono punti cardinali gli amatori bevono. Altro canale che a Milano ovviamente tira parecchio è quello degli hotel del lusso, dal Bulgari all’Armani quindi non solo milanesi, in questo caso clientela straniera. Un locale non stellato che sta facendo strada per la selezione è la Gintoneria di Davide Lacerenza, in una zona periferica che bisogna andare a cercare, Greco. “La mia è una clientela giovane che va dai 18 ai 35 anni – racconta Lacerenza che conta quasi 60 mila follower su Instagram – sono i figli della Milano bene. Tutti molto noti”. Un ristorante che le stelle se le guadagna sul campo. “Parliamo di 400 bottiglie di champagne alla settimana , tutte di alto livello: Cristal, Krug, Dom Pérignon, Salon, Gran Siecle. Da me lo champagne si sciabola come una volta, con la spada si fa partire il tappo ma anche con il bicchiere e la patente”. La patente? “Sì, ho creato una patente in metallo con la mia immagine per darla a chi sciabola bottiglie importanti da 7-800 euro ma anche da 1.500”.

 

Non c’è dubbio che Milano sia il caput mundi dello champagne, un settore particolare che si sta ritagliando un mercato, una clientela e una rete di selezionatori altamente specialistica. “E’ la città dove c’è il maggiore dinamismo in campo gastronomico – afferma Francesca Terragni, marketing e communication director di Moet Hennessy Italia – Dal 2015 in poi c’è stata una fioritura di nuovi ristoranti e nuove tipologie dello stare insieme. Lo champagne è sempre più legato a questi cambiamenti perché si è evoluto il gusto degli italiani in generale”.

 

Anche d’estate la bollicina francese luccica sotto le stelle. Il milanese è un amatore che la beve regolarmente e si possono spuntare anche buoni prezzi vista la competizione tra i locali, al punto che una bottiglia di champagne la si può acquistare meglio a Milano che a Palermo. Certi ristoranti non smentiscono la loro fama di innovatori nel rapporto con il cliente. “Lo champagne si consuma parecchio da noi, 30-40 bottiglie per cinque giorni d’apertura – spiega Manuele Pirovano, grande sommelier e direttore di sala da 14 anni del ristorante D’O di Davide Oldani – è impossibile non averlo, ma qui viene servito anche al bicchiere. Va bene per tutti, giovani e meno giovani. Abbiamo più di 70 champagne in casa, una lista importante. I nostri consigli variano tra etichette più o meno conosciute”. Ordinare una bottiglia di champagne fa parte anche del bello di andare fuori a cena. Ti guardano e ne godi. Il giochino è semplice. Il Baretto non fa eccezione. “Ne va via tanto – conferma Vincenzo Zagaria, mitico titolare del ristorante di via Senato -. Su dieci bottiglie tre preferiscono il Franciacorta e sette ordinano il vino francese (ahi ahi sovranisti, ndr)”. Ma c’è chi è totalmente fuori dal coro (anche senza essere sovranista) come Filippo La Mantia, oste e cuoco, come lui ama definirsi. “Ho una carta di champagne molto fornita ma non voglio vendere champagne. Per me la bollicina italiana è il top, proprio per una questione di nazionalismo puro. Da 18 anni adotto questo sistema. Le bollicine siciliane sono straordinarie. Su dieci persone, nove le convinco a prendere Sicilia o Italia. I puristi vogliono i francesi. Ma cerco sempre di dirottarli. Le produzioni italiane vanno spinte. Lei pensa che in Francia sponsorizzino una bollicina italiana?”.

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