I raggi verdi di Milano
Andreas Kipar, l’urbanista giardiniere che ha trasformato la città grigia con un colore nuovo
Forse il nome Andreas Kipar è più noto agli addetti ai lavori che al grande pubblico, eppure indirettamente lo conosce ogni singolo milanese. Kipar ha infatti lasciato tracce verdi ovunque, in città: da Piazza Gae Aulenti fino al Portello, al Parco Nord, e ancora lì dove un tempo si trovavano le fabbriche della Maserati, della Fiat, dell’Alfa Romeo, della Pirelli. Chi vuole conoscerlo segua uno dei suoi “raggi verdi”. Un modello di sviluppo urbano messo a punto a Milano che in questo modo, nel giro di una decina di anni, ha raddoppiato i suoi spazi verdi. Non solo, è anche grazie a questo modello che nel 2017 la città tedesca di Essen è stata nominata dall’Unione europea capitale verde d’Europa. Un modello esportato nel frattempo anche in Russia, in Canada, negli Emirati Arabi.
L’incontro con Kipar, di prima mattina, avviene al Radetzky, in largo la Foppa, a due passi dal “pennellone” di Unicredit progettato da César Pelli, uno dei nomi di grido nell’architettura internazionale.
Il luogo non è stato scelto né per le origini mezze austriache dell’intervistatrice, tanto meno per quelle dell’intervistato, che è tedesco del Ruhrgebiet, un tempo il bacino carbonifero più grande d’Europa. Piuttosto per la prossimità al suo studio Land (acronimo che sta Landscape, Architecture, Nature, Development). Anche la scuola tedesca è poco distante, così come la chiesa luterana, della quale Kipar è presidente. A ben vedere una sorta di quadrilatero teutonico. Kipar è da poco tornato da Roma dove si è tenuto, dopo dieci anni, il Congresso di architettura ed è impaziente di raccontare la buona notizia: “E’ finalmente arrivata la nostra ora. Adesso sono più richiesti gli architetti di paesaggio che quelli di grattacieli”. Cioè la sua specializzazione. “Viviamo in una società dove la gente accumula quotidianamente frustrazioni, aggressività, ansie indotte dalla digitalizzazione che cambia il mondo del lavoro”, spiega. “Da qui il bisogno crescente di trovare un contatto più ravvicinato con la natura, città che siano più a misura d’uomo”. Ma, tiene a sottolineare, architettura del paesaggio non fa il paio con ornamento fine a se stesso.
Quando è arrivato a Milano nei primi anni Ottanta la città si presentava, come la maggior parte delle città postindustriali, grigia e triste. L’urbanizzazione, qui come altrove, si era piegata ai dettami dell’industria, della motorizzazione, “mentre al tempo libero si era prestata poca attenzione”.
Ma proprio perché la città pareva soffocata dal cemento Kipar la scelse per il suo progetto. Milano si prestava perfettamente alla sua idea dei “raggi verdi”. Inserti, a volte niente più che piccoli tasselli, altre spazi più grandi, fino ad arrivare a collegarsi, come un continuum con la cinta ancora agricola attorno alla città, insomma un continuum. Su quell’idea Kipar ci aveva scommesso, quando ancora i più l’avrebbero definita un’illusione, quando aggiungere al proprio curriculum il diploma di giardiniere rischiava di essere sminuente, “perché giardiniere faceva il paio con limitato, tant’è che gli amici milanesi mi consigliavano di tralasciare questo dettaglio” ricorda.
Oggi, invece, quella qualifica è un fiore all’occhiello, perché è il sigillo che garantisce non solo visioni ma anche la capacità di metterle in pratica. E’ cambiato lo Zeitgeist. Certo la gente apprezza Porta Nuova, il Portello con i loro megagalattici grattacieli che portano la firma degli archistar, “ma siamo già oltre. In una società che sente di nuovo il bisogno di concretezza, di solidità, anche la pianificazione urbanistica sta cambiando. Da verticale diventa vieppiù orizzontale. L’autoreferenzialità degli edifici spettacolari posti in mezzo al deserto urbano perché così risaltano ancora di più, sta cedendo il passo a una progettazione più organica, a misura d’uomo, umanistica”.
Da qui il modello dei raggi verdi che come una sentinella guida le persone da un intarsio verde all’altro, permette di trovare, anche nel cuore della città punti, di approdo e approvvigionamento di energia mentale. “Con qua e là delle attrazioni, piccole, quale un’edicola dove comperare il giornale, sedersi sotto un albero, sulla panchina accanto, oppure grande, vedi piazza Gae Aulenti e ancora il Bosco verticale, con il giardinetto dove si cammina sentendo la ghiaia scricchiolare sotto le scarpe”. Secondo Kipar questa riscoperta della natura è l’ancora che permette di attraversare questo nostro tempo senza sentirsi troppo in balia dei suoi vertiginosi cambiamenti. E attraversare Milano sentendosi in una città che ha cambiato stile e colore.