La mafia diverte molto d'estate. Un noir ironico sulla città, un “set” di genere
A proposito di “Fashion Mafia” di Timothy Casanova
La mafia come non l’avete mai sentita, per dirla in senso letterale. Del resto l’autore, Timothy Casanova, è un personaggio tipico milanese, un “imprenditore nella old economy di negozi e nella new economy”, ma anche uno che si è sempre mosso, professionalmente, tra musica e parole, produttore musicale, autore di testi, attivo anche con una casa di produzione indipendente, tra le tante interessenti che popolano Milano. E ora, che ha dato alle stampe il libro “Fashion Mafia” per i tipi di Fanucci, continua sulle proprie orme, e quindi per “lanciare” il suo lavoro narrativo si è inventato una canzone di Mered, un rapper che così fornisce la “colonna sonora” per un noir scanzonato tutto ambientato a Milano. La storia, a suo modo, è semplice. E il protagonista ha lo stesso nome dell’autore, amante delle donne, del fashion, con nobili origini alle spalle e sulle spalle raffinati abiti firmati.
Suo malgrado, si ritrova a rivestire i panni dell’uomo di fiducia del boss Vito Sapienza, dal quale è incaricato di svolgere un compito assai delicato: rintracciare nel capoluogo lombardo suo fratello Riccardo, rapito da un pericoloso cartello della droga colombiano. Una volta giunto a Milano, però, Timothy pensa principalmente a spassarsela tra night e avventure, raccogliendo in modo piuttosto estemporaneo e rocambolesco le informazioni chieste da Vito.
Ed è proprio a Milano che si svolgono le avventure più pulp, tra albe ovviamente livide, come si addice al genere (“l’alba a Milano è una battaglia privata tra la luce e il traffico. Chi vince la annuncia. La luce oggi la spunta per pochi minuti e si insinua tra le liste della tapparella, mi sfiora gli occhi e io riprendo conoscenza”), notti brave in discoteche fumose, ambiguità sessuali, droga e pestaggi vari. Insomma, tutto l’armamentario del genere letterario. E tutto il saper giocare con i luoghi, i tic, gli stereotipi della narrativa noir, o thriller, o variamente poliziottesca che è da tempo una delle chiavi di lettura di una città come Milano: il mondo fuori che luccica, il mondo sotto fatto di violenza, malavita, e quant’altro. Di poesia, diciaomo, ce n’è pochina. Ma non ce ne è bisogno, perché l’ironia fa la gran parte del lavoro.