L'opposizione la fanno lavoro e imprese (la politica impari)
Consigli (richiesti dai circoli Pd) di Marco Bentivogli su come fare vera “dignità”
Grazie al miglioramento del quadro economico, nel 2017 il mercato del lavoro lombardo si è rafforzato. Il numero degli occupati rispetto al periodo pre crisi presenta un saldo positivo di 125 mila unità e, dopo nove anni, il tasso di occupazione (67,3%) supera il livello del 2008 (66,9%), anno che, come sappiamo, rappresenta uno spartiacque quando si ragione su com'era il mondo prima e come è oggi. Entrando un po’ più nello specifico dei dati prodotti dal gruppo tecnico costituito da Assolombarda con Cgil, Cisl e Uil, si vede che nell’ultimo anno nella regione è cresciuta in particolare l’occupazione a tempo determinato e persiste uno squilibrio generazionale (-505 mila lavoratori under 45 a fronte di + 631 mila over 45), ma emerge un segnale molto positivo per i giovani: nella fascia compresa tra 15 e 24 anni il tasso dei senza lavoro è sceso di ben 7 punti e la percentuale dei cosìddetti Neet, cioè quelli che non lavorano e non studiano, tende a diminuire.
Questo breve quadro offre più di uno spunto di riflessione secondo Marco Bentivogli, segretario generale dei metalmeccanici della Cisl, che proprio sul tema di lavoro e welfare (con focus particolare su Milano, città riformista e del lavoro per eccellenza) si è confrontato con l’economista Tommaso Nannicini in un incontro che si è svolto a Milano lunedì 16 luglio per iniziativa di cinque circoli del Pd, tra i più intellettuali e progressisti della città. Bentivogli è uno apprezzato per la sua franchezza che talvolta lo porta ad assumere posizioni controcorrente. Come quando tende a spostare il focus dell’analisi sul mercato del lavoro dalla tutela dei diritti all’importanza della crescita economica, pensiero che lo pone in particolare sintonia con quel mondo di imprese dinamiche e innovative del triangolo lombardo-veneto-emiliano dove la delusione per le misure contenute nel decreto Dignità si comincia a percepire. Delusione che, secondo Bentivogli, potrebbe essere l’inizio di una frattura con una delle due principali forze di governo: la Lega, che in queste stesse regioni ha la base del suo elettorato.
Come nel suo stile, Bentivogli non ne fa una questione ideologica, ma un ragionamento che si basa sulla storia e sul Dna di un tessuto industriale che, passata l’euforia iniziale, comincia a valutare il governo Lega-Cinque stelle in base all’impatto che hanno i suoi provvedimenti sulla vita delle aziende. “Il cuore industriale dell’Italia è da sempre abituato a fare a meno della politica – dice il sindacalista al Foglio – ma ora teme che la politica possa diventare da inutile a dannosa per il sistema produttivo”. Prendiamo la Lombardia. Il miglioramento del mercato del lavoro non è casuale ma è connesso con l’aumento del prodotto interno lordo della regione, che nell’ultimo anno è stato superiore al resto d’Italia. In particolare, il pil di Milano, nel periodo compreso tra il 2014 e il 2017, è cresciuto del 6,2 per cento, cioè una volta e mezza rispetto alla media del paese. Dinamismo che è stato registrato, seppure in misura diversa, anche in Veneto ed Emilia Romagna. “Qui ci sono imprese che corrono come gazzelle che, contando quasi esclusivamente sui propri mezzi, si sono buttate la crisi alle spalle”, continua Bentivogli. “L’unico vero elemento di discontinuità per un mondo che ha sempre considerato la politica distante dai suoi bisogni, è rappresentato dalla misura Industria 4.0, che, premiando la propensione all'innovazione di chi fa impresa, è stato apprezzato”. E’ difficile, secondo il ragionamento del sindacalista, parlare di lavoro senza far riferimento a queste dinamiche. “In un ecosistema forte come quello di Milano, c’è il rischio che il sentimento di diffidenza nei confronti della politica nazionale diventi ancora più profondo, in un momento in cui tutti i competitor esteri dell’industria milanese hanno al fianco i loro governi. Ciò sarà sempre più vero se a Roma continueranno a occuparsi esclusivamente di ‘casta’ o di ‘migranti’, con la parentesi di un milleproroghe mascherato da ‘dignità’ del lavoro, che non si ottiene per decreto così come la crescita dell’occupazione”.