Una città che esonda. Il problema (politico) del Seveso
Fu la prima “grande opera” dei romani. Ma da decenni è un rebus. Tra progetti e bisticci
È un fiume birichino, il Seveso. Anzi, non è un fiume. Quasi più un torrente, che si ingrossa e imbizzarrisce spesso. E’ anche una delle prime “grandi opere” realizzate in terra lombarda dagli antichi romani: furono loro infatti a deviare il corso del Seveso più volte. La prima volta per portare a Milano il fiumicello, lungo 52 chilometri, che nasce al confine con la Svizzera, in provincia di Como, e poi attraversa la Brianza. L’idea era di alimentare la fossa intorno alle mura della città. Poi, una seconda volta, lo portarono fino a piazza San Babila. Infine, al volgere del 1800, si decise che il Seveso non serviva più, e venne interrato. Ma il Seveso scorre ancora, fin sotto Melchiorre Gioia. Il problema è che si ingrossa, eccome, quando piove. Ed esonda, fin dalla fine dell’Ottocento. Il 3 agosto 1875, ad esempio, e poi ancora nel 1917, e nel 1934, nel 1944, due volte nel 1951. Nel 1979 cinque volte. E – secondo il dossier elaborato sotto il governo Renzi – dal 2000 al 2012 almeno una volta l’anno e con i massimi nel 2000 (sei volte) e nel 2010 (addirittura otto volte). La media? 2,5 esondazioni l’anno.
Ogni volta che il Seveso esonda costa. Nel 2010 fece un buco 70 milioni perché l’acqua entrò nella metropolitana, fu un delirio. In Consiglio comunale il Pd di allora manifestò con uno striscione: “La vera calamità di Milano è il sindaco Moratti”. A guardare la foto d’antan si vedono un giovane Pierfrancesco Maran, un giovane Pierfrancesco Majorino, il consigliere Marco Granelli. Che – una passione e una missione fin dal primo giorno in giunta con Pisapia e oggi con Sala – è colui che si occupa del Seveso e delle esondazioni a Niguarda con precisione quasi maniacale. Tante le notti passate con MM spa a sorvegliare i livelli, a coordinare gli interventi. Perché ci tiene, Marco Granelli. E battaglia per risolvere alla radice il problema. Un problema che però non è risolto. Si pensava che la svolta sarebbe arrivata con Renzi, che varò nel 2014 “Italiasicura”, coordinata dall’ex direttore dell’Unità Erasmo D’Angelis, e chiusa dal governo nel luglio di quest’anno perché ritenuta un “ente inutile”. Nel dossier Seveso apparivano le date di fine lavori, e i soldi già stanziati. Ad esempio: “Area di laminazione di Senago”, trenta milioni. Fine lavori giugno 2016. Vasca Paderno, 16,1 milioni, fine lavori dicembre 2016. Varedo, 23,5 milioni, fine lavori dicembre 2016. Vasca di Bresso, trenta milioni, fine lavori dicembre 2016.
Oggi, mentre si approssima il dicembre 2018, di vasca non ce ne è mezza. E il Seveso è esondato anche domenica scorsa. In particolare i lavori sulla vasca di Senago sono interrotti e si prevede che finiranno nel 2019 (forse). Bresso è messa anche peggio. Perché è vero che il territorio è nel Comune di Milano, come chiarisce Marco Granelli al Foglio, ma è anche vero che l’allora sindaco del Partito democratico, Ugo Vecchiarelli, avviò una serie di ricorsi persi, e uno in particolare al Consiglio dei ministri che è ancora pendente e che potrebbe cambiare tutto. Al governo, nel frattempo, sono cambiati gli inquilini. Tra i sottosegretari più potenti del nuovo corso gialloverde c’è Stefano Buffagni, che è di Bresso, e che è assolutamente contrario alla vasca (che ha in vero una supericie enorme). Sul territorio il suo luogotenente è Massimo De Rosa, ex parlamentare e adesso consigliere regionale: “Il problema è che fare la vasca adesso non risolve un problema ma lo crea – spiega al Foglio – Facciamo questo ragionamento: il Seveso è inquinato fin dal territorio comasco. Ci sono scarichi illegali e non è stata fatta la bonifica. Fare oggi la vasca vorrebbe dire creare una fogna a cielo aperto, tra l’altro sotto il livello della falda, e ci sarebbe dunque il rischio inquinamento. Noi pensiamo che le vasche non siano risolutive”.
Sull’idea però che il Seveso debba prevedere una nuova grande opera, ovvero la sua sistemazione dalla cima al Lambro (dove poi sfocia), De Rosa concorda: “Per noi si deve fare una grande opera Seveso, iniziando però a parlare di diminuzione dell’urbanizzazione, di opere a lungo termine”. Palla in tribuna? Con i tempi italiani, vuol dire che il Seveso esonderà per i prossimi vent’anni. “In effetti quello che proponiamo noi è di aprire il canale scolmatore prima di Senago, di fare la pulizia degli alvei, di chiudere gli scarichi abusivi, di indirizzare tutto nei depuratori. Se poi la situazione non si risolve, allora ragioniamo sulle vasche. Non che si piazza una pozza maleodorante fuori da Milano, una fogna a cielo aperto, per porre una toppa fatta male a una situazione di urbanizzazione selvaggia degenerata negli anni”. Marco Granelli però non ci sta: “Basta dire falsità. Non è una pozza maleodorante e non è una fogna a cielo aperto. La vasca potrebbe creare qualche disagio per massimo sei giorni ogni tre anni. Guardate i dati degli ultimi 100 anni, solo le esondazioni più critiche durano un periodo massimo di una settimana. E queste negli ultimi anni sono avvenute solo nel 2010 e nel 2014.
Per gli altri giorni sarebbe un laghetto con acqua di falda come c’è già là a fianco nel Parco Nord. Non si rappresenti un film che non esiste, non si fa un buon servizio”. Di più: “In questi 40 anni si è sempre detto: pensiamo a un piano straordinario. Da quando nell’estate 2011 ho vissuto la prima esondazione da assessore, abbiamo chiesto un piano straordinario. L’unico che c’è è quello di Renzi. De Rosa ha in mente un altro piano? Lo tiri fuori. La sua idea è cancellare l’urbanizzazione selvaggia? Vuole demolire le case? E come fa? Per quanto riguarda l’acqua nei depuratori, lo stiamo facendo: il depuratore di Varedo non scarica più nel Seveso ma nel depuratore di Pero. La pulizia degli alvei l’abbiamo già fatta e finita nel 2015, altri la stanno facendo a monte. Il problema è che le esondazioni le abbiamo oggi: bisogna fare qualcosa che in un tempo ragionevole e poi lavorare sul lungo periodo”.
Ma un problema di base permane. Perché mai un cittadino di Bresso dovrebbe farsi carico dei problemi di Milano, che sta più a valle? E Milano ha pensato a compensazioni per i cittadini di Bresso? “Nessuna compensazione. Ma se la mettiamo così, allora possiamo dire che Bresso inquina perché scarica direttamente nell’acqua del Seveso che poi finisce nelle strade di Niguarda”, spiega Granelli, in chiave anti campanilistica. Di fatto però il tema è irrisolto, e avrebbe sia una certa profondità che una certa urgenza: prima che “l’ente” Città Metropolitana, andrebbe costruita una solidarietà metropolitana, che pare non esistere. In primis per responsabilità atavica di Milano, abituata a dividere i milanesi tra cittadini residenti e city users. Questi ultimi hanno vissuto con disagio e senso di esclusione l’Area C, ora l’aggiunta dell’Area B, i parcheggi sulle strisce blu il cui costo è proibitivo (richiesti da milanesi che non volevano gli city users a invadere le strade vicino alle metropolitane), il ritardo mostruoso sulla bigliettazione unica di Atm, le linee di Trenord che vanno male e anzi malissimo (qui però Palazzo Marino c’entra poco), il mancato coordinamento sui blocchi del traffico per lo smog.
In cambio di cosa? Cioè, la domanda di fondo è: esiste la volontà di creare un’unica città metropolitana? E pensare a una “cittadinanza condivisa”, in cui ci si dividono e compensano costi e benefici? Pisapia era palesemente non interessato. Beppe Sala non si è espresso in questi termini, ma l’operatività di quella che fu l’ex provincia è quanto di più deludente si possa immaginare. Pochi soldi, pochissime idee, di fatto un’unica rincorsa a chiudere il bilancio senza troppi danni senza uno straccio di progettazione a lungo termine e soprattutto senza uno straccio di discussione pubblica. Del resto, la Provincia non è più eletta dal popolo, e quindi è assente dalle contese elettorali. “Noi abbiamo parlato con tutti i Comuni, e li abbiamo coinvolti” precisa Granelli. “Abbiamo proposto di far parte dell’organismo che gestirà le vasche, per poter avere la piena operatività. E’ bene precisare che 6 milioni su 30 sono stati destinati per sistemare aree a parco di Bresso”.
Forse di grandi opere, a questo punto, se ne potrebbero ipotizzare due. La prima è quella di ripulitura del fiume, e di ideazione di un piano definitivo e inequivocabile concordato con il governo. La seconda è più culturale: la creazione di una solidarietà metropolitana che pare non essere mai esistita. Granelli è speranzoso: “Noi abbiamo dato una svolta in questo senso. Sul Seveso però dobbiamo essere chiari: chi dice di no si prenderà le proprie responsabilità davanti alla legge alle prossime esondazioni”.