Idee per la sinistra? Non (ancora) pervenute
Cottarelli sta con Davigo e Renzi imita Crozza
“Amore, scusa, ti vorrei notiziare sul mio tipo di sonno, che nella sua prima fase, essendo molto rapido, è anche, ahimè, molto leggero. Quindi ti pregherei proprio la massima cautela nei movimenti con i piedi e soprattutto con le lenzuola, va bene?”.
Il mitico Verdone, in “Viaggi di Nozze”.
Non c’è molto da sognare, per chi sta a sinistra, in questo periodo. E – verrebbe da dire – neppure da dormire. Ma soprattutto sembra che l’imperativo sia di non muoversi troppo, in onore del vecchio detto “calati giunco, che passa la piena”.
FATTO STRANO - Carlo Cottarelli è un economista serio. Stimatissimo perché è forse stato il premier incaricato con il maggior consenso: in quei quattro giorni ha rafforzato per il grande pubblico un’immagine di serietà e di forza morale che già possedeva, e che lo ha portato ad avere gli applausi lungo le strade, andata e ritorno dal Quirinale. Alla Festa dell’Unità milanese, che da giovedì a lunedì ha stazionato alla Darsena, arriva sotto il diluvio, armato di stampella a causa di un dolore al ginocchio. La sala è comunque piena e il confronto interessante, con l’assessore al Bilancio Roberto Tasca, con la vicepresidente di A2A Alessandra Perrazzelli, con il senatore renzianissimo Eugenio Comincini. Tutto va bene, e Cottarelli – che in questi giorni ha annunciato di essere stato “reclutato“ da Fabio Fazio a “Che tempo che fa?“ – è come al solito chiaro e semplice. Poi l’imprevisto, il fatto strano (detto da un economista di lungo corso). “Io sulla corruzione e sulla giustizia la penso esattamente come Davigo“, scandisce. Così, a freddo. E poi, giù a spiegare che è giusto inasprire le pene, e che la proposta di riforma della giustizia del Movimento cinque stelle è giusta, e che è d’accordo sull’agente sotto copertura. Roberto Tasca, che di mestiere oltre all’assessore fa anche e soprattutto il professore, strabuzza gli occhi e dice no, non sono d’accordo.
FAMOLO DOPO - Il congresso nazionale è il problema? Certo, per trovare un nuovo segretario. Se ci sarà Renzi, oppure no, lo si vedrà. Sul territorio, intanto, ci sono da definire ben due poltrone. Di quelle che contano: perché in ottica di elezioni nazionali ed europee il segretario regionale (attualmente Alessandro Alfieri, ma in scadenza e incompatibile con il rinnovo) ha un suo peso. E in ottica amministrative, tra due anni e mezzo il segretario metropolitano (oggi è Pietro Bussolati, in scadenza e incompatibile con il rinnovo) nel caso Beppe Sala decidesse di fare come Paganini, o per volare più bassi come Giuliano Pisapia, sarà quello che “decide” il percorso per provare a fermare l’avanzata leghista su Milano. Dunque, segretario metropolitano e segretario regionale sono due posti chiave. Pare che da tutta la Lombardia sia arrivata la richiesta di celebrare insieme i congressi: sia quello metropolitano che quello regionale. Entrambi a fine novembre, e non con un percorso graduale sul territorio a partire da ottobre. Quindi un giorno solo (anche perché sennò l’appeal delle elezioni regionali del Pd sarebbe davvero bassa). Con qualche problema però: ci vorranno accordi “unificati”, per entrambe le posizioni, tra le varie correnti (e non quindi maggioranze diverse come la scorsa volta). E in più per una elezione votano solo gli iscritti, per l’altra praticamente tutti. Come fare a conciliare le due cose? Complicato. In più, si dice che Matteo Renzi voglia una sua donna, Simona Malpezzi, alla segreteria regionale. Questo marcherebbe la distanza in modo significativo con l’attuale gruppo, scatenando liti e battaglie.
FAMO QUALCOSA - I renziani di osservanza, quelli che nella giunta del suo “nemico“ Beppe Sala non hanno mai nascosto la stima per il leader di Rignano, alla fine se ne sono andati scuotendo un po’ la testa. Il comizio di Matteo Renzi a Milano non ha convinto i palati fini. Certo, con le foto, lo stile Crozza (o Griollo?) e tutto il resto, ha eccitato i superfan accorsi (peraltro neanche pochi: oltre 800) sulle rive dell’antico porto di Milano. Renzi ha arringato la folla. Ma di contenuti, di conti, di proposte – di politica, insomma – non ha fatto cenno. Nessuna idea, ma detta molto chiaramente. Ha perculato il governo, Matteo Renzi. E va bene. Ma di proposte di opposizione parlamentare sulle cose che per Milano contano, dal taglio dei fondi per il trasporto pubblico alle Olimpiadi, dalle concessioni (tema che a un colosso come A2A sta molto a cuore, ad esempio) allo sviluppo della locomotiva d’Italia, ne sono arrivate poche, pochissime. Nessuna. Di riformismo non se ne è sentito, nella culla del riformismo. Tanto che qualcuno, a mezza bocca, ha mormorato che forse hanno fatto bene quelli, invece, se ne erano andati alla Fondazione Stelline, per celebrare gli ex sindaci Tognoli, Pillitteri, Albertini, e pure Pisapia (apparso abbronzato e in forma smagliante). Tutti loro (praticamente tutta la Milano renziana che conta) erano chez Daniela Mainini, e hanno ascoltato lontano dalla Darsena il grido d’allarme della Milano che spinge (in avanti) contro il populismo che tira (il consenso).