Manfredi Catella (foto Imagoeconomica)

Costruire lo spazio, nel tempo. Come immaginare il futuro

Paola Bulbarelli

Forum del Foglio con Manfredi Catella, ad di Coima. Responsabilità, economia, bellezza

Dalle vetrate si vede la Biblioteca degli Alberi, un abbraccio vegetale che tiene unite la città che già c’era e i grattacieli che sono venuti dopo, quelli di Porta Nuova, e che ormai sono un marchio mondiale quando si vuol raccontare con una sola immagine il “rinascimento” di Milano. Manfredi Catella quel progetto di riqualificazione urbana che ha cambiato lo skyline della città e modificato l’idea stessa di cosa significhi progettare spazi che non siano solo sommatorie di palazzi, ma “luoghi” pubblici, lo conosce molto bene. Era nato dal “sogno” di suo padre, Riccardo, oltre quindici anni fa; lo ha condotto in porto lui. Di quella avventura ha conservato la voglia di considerare se stesso uno sviluppatore urbanistico e immobiliare, qualcosa di diverso e di più ampio di un semplice gruppo che progetta palazzi e costruisce. I progetti in corso sono tanti, sta partendo quello denominato GIOIA22, mai ncontrando il Foglio, Manfredi Catella, presidente di Coima, vuole parlare di idee: un’idea di città che può davvero essere all’avanguardia dell’innovazione mondiale – perché ha ancora tanto da cambiare e da trasformare, spiega, rispetto a metropoli di pari grado che la loro “rivoluzione” urbana l’hanno già compiuta nei decenni scorsi – e idee di quale sia la responsabilità di chi costruisce. Di cosa serva all’Italia. A partire dalla consapevolezza di quanto una attività come quella del suo gruppo abbia un impatto sull’economia reale e sulla vita delle persone. “Una parte della mia carriera è stata in finanza, ho lavorato per banche d’affari americane e inglesi”. Il regno di una ricchezza volatile e fluida, con le sue logiche. Invece, “il mestiere della trasformazione del territorio è ‘senza riserve’ perché realizzi qualcosa di fisico, che resta nel tempo e nelle generazioni, e quindi hai una responsabilità fortissima. E oggi è un mestiere che è la sintesi di tante competenze, tecniche da una parte, finanziarie dall’altra. Ma poi sono sociali, estetiche. Realizzare prodotti così complessi, come sono degli edifici e gli spazi, ha un ruolo culturale fortissimo. Tocchi un bene comune e quindi, ha un impatto sociale. Mentre in finanza mi sono annoiato, questo lavoro lo trovo molto creativo e molto ricco”.

 

Eppure, la finanza conta sempre di più, nel mondo e in attività come la vostra. E in una città come Milano. “Culturalmente direi di no, è un periodo storico molto diverso dal passato. Se pensiamo agli anni 80 per la cultura occidentale i temi ricorrenti erano crescita illimitata, massimizzazione del profitto, il valore del denaro come elemento principale. Anche nell’architettura, e si può leggere la storia sfogliando le immagini delle città dove i palazzi esprimono la civiltà o l’inciviltà del periodo: si trova una cultura molto americana che in quel momento era punto di riferimento, che si esprimeva in un’icona come il grattacielo, isolato. Una cultura individualista. Gli anni 80 erano culturismo, oggi è yoga. Prima si parlava del manager di Borsa ora si parla di comunità, un bisogno di socialità e condivisione”. E in architettura cosa significa? “Qual è l’icona urbana di oggi? Il riferimento è l’High Line di New York: uno spazio pubblico, una passeggiata che da luogo dismesso è diventata un’icona globale. La trasformazione fisica del territorio esprime un messaggio culturale molto forte. Questa sensibilità noi italiani l’abbiamo sempre avuta”. Possiamo dire che il suo lavoro, creare il territorio e i grandi quartieri, è un po’ un lavoro simbolo di questa epoca? “Assolutamente sì. Dal Dopoguerra fino ad anni recenti il settore dell’immobiliare era spesso arido: realizzavi un oggetto che serviva, senza essere portatore di grande innovazione. Oggi è centrale il tema dell’attrattività delle città, della sostenibilità. Uno dei grandissimi contributori all’innovazione culturale e umana è proprio il territorio. Le città si misurano, cercano di attrarre talenti e integrare funzioni. L’immobiliare non è più semplicemente delle scatole costruite, belle o brutte che siano: è un investimento di economia reale fortissimo capace di generare economia. E noi siamo il paese che ha creato questo tipo di approccio al territorio, tutto il mondo ci ammira per le nostre città storiche, i romani hanno costruito ponti che non crollano. Abbiamo una vocazione di paese nobilissima, poi ce lo siamo dimenticati, ma adesso il modello culturale che sta emergendo è più umanistico”.

 

Ma ci vuole tempo, senso della storia e una visione lunga che spesso l’economia non ha, e la politica nemmeno. “Era il duemila quando iniziammo a comprare le aree di Porta Nuova, e la Biblioteca degli Alberi la inauguriamo adesso: 2018. Ma, per parlare di cosa è o debba diventare Milano, bisogna ragionare su tempi che cambiano ancora. Stiamo vivendo un momento di grande discontinuità e innovazione: basta fare l’esempio della mobilità. Quando fu ideata Porta Nuova, l’innovazione fu quella di creare un grande spazio pubblico, ma la modalità di costruzione, gli elementi, è tradizionale. Oggi per intervenire sulla città bisogna porsi dei problemi ai quali non puoi dare delle risposte: perché ora che avrai costruito, tutto potrebbe essere diverso. Penso alle infrastrutture, alla mobilità. Prima si facevano le case, gli uffici, i negozi. Adesso inizia a esserci una commistione di usi importantissima. Stiamo costruendo palazzi nuovi, e il tema di Amazon è da tenere in considerazione. Ci sono palazzi con pile di scatole nell’ingresso, perché quei palazzi erano stati costruiti senza pensare che un giorno la distribuzione sarebbe cambiata. Magari ora non devi fare le cantina, ma un piano con reception dove arriva il camioncino con i pacchi. O forse non serviranno più i box auto, domineranno il car sharing e le biciclette. La città è uno degli hardwear fisici che maggiormente sarà impattato e più fortemente contribuirà a un’innovazione molto ampia”.

 

E’ ad esempio il problema che si pone con uno dei progetti futuri più importanti per Coima, gli Scali Ferroviari. Coima ha rilevato nel luglio scorso l’area Valtellina, una porzione importante dello Scalo Farini, tra i sette scali quello più ampio e strategico per Milano. L’area di Coima ha una superficie di circa 60 mila mq, un piccolo quartiere. Ma per iniziare a progettare, spiega Catella, bisogna attendere la definizione generale dei progetti (il bando per il primo masterplan concettuale parte ora: tempi lunghi). “Come è possibile progettare oggi quello che inizierai a costruire tra anni? Che tipo di città sarà? Come ci si muoverà?”. Già, Milano come cambierà? Serve immaginazione. “Ormai Milano è entrata con serenità nella trasformazione del territorio come fattore di sviluppo economico. Ha creato un nuovo benchmark a livello di paese. Milano è in un circolo virtuoso che proseguirà senza possibilità d’invertirlo. Quando partimmo noi ci furono contestazioni, ma oggi l’innovazione urbana c’è e interessa. Milano può permettersi di alzare la barra, perché può trasformare molto sia a livello di edifici esistenti che di aree come in nessuna altra città europea”.

 

Un modo di pensare più che necessario, in un momento non semplice per la nostra economia. Anche se Catella pensa positivo: “Il valore del denaro globale è enorme, ci sono fondi che muovono trilioni. Il fondo pensione della Japan Post che non ha ancora iniziato a investire fuori dal Giappone, è di un trillion. Noi investiamo il denaro del fondo sovrano di Abu Dhabi che è quasi di un trillion. Il denaro si muove, ma poi si ferma dove c’è economia reale, possibilità di impresa e innovazione. Pensando a cicli lunghi”. La stessa logica per cui Coima ha organizzato, il 25 ottobre a Milano, la settima edizione del “COIMA Real Estate Forum”, un dibattito sullo scenario del mercato immobiliare italiano aperto ai grandi protagonisti e investitori internazionali. “Parleremo di mercato, di visione strategica”. Il problema è sapere cosa succede tra un anno… “Sono diverse le prospettive. In politica, è iniziato la competizione per quale sarà il leader per la ‘successione’ vera al comando, e qualcuno ci sarà. oggi c’è una vera corsa, e questo è positivo. Per quanto riguarda gli investimenti bisogna fare uno sforzo e andare a vedere dove c’è la domanda. Noi integriamo con competenze diverse e abbiamo iniziato a ragionare da azienda. Ed è da qui che si generano progetti”.

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