La Lega prova a vaccinare il M5s sul reddito di cittadinanza
Con cautela e calma, il partito guidato da Salvini sa che al nord deve prosciugare l'intervento promesso dai grillini. Il nodo autonomia
E’ come se fosse un fiume carsico, con l’acqua che scorre sotto terra. Erode, pian piano. La manifestazione dei quarantamila di Torino, con la Lega in piazza. La convergenza – fatti i necessari distinguo – sulla questione delle aperture dei negozi (Salvini in difesa d’ufficio, tiepida tiepida, e Sala, in versione milanese imbruttito, a palle incatenate). Le Olimpiadi, che vedono il governatore Attilio Fontana e il sindaco sullo stesso fronte. Addirittura uno del Movimento cinque stelle che ragiona, come Stefano Buffagni, che riflette sulla distribuzione del reddito di cittadinanza. Qualcosa si muove, più che altro tra i parlamentari leghisti. Che sanno benissimo che la situazione è buona, apparentemente. Ma che c’è una malattia che avanza: si chiama reddito di cittadinanza. Sanno che dovranno spiegare ai loro collegi, se davvero sarà erogato nella prossima primavera, proprio quando gli imprenditori dovranno mettere mano ai conti correnti per pagare le tasse, perché laggiù si regalino soldi a chi non va a laurà. E’ una malattia, questa del reddito di cittadinanza, che per il paese fa venire in mente Lord Lafew: “Le cure son servite soltanto a protrarre la speranza nel tempo, con l’unico vantaggio di fargli perdere col tempo la speranza”.
E quindi? Quindi la Milano leghista, e non solo, si muove. Pian piano, insieme alla Brianza, a Brescia e a Bergamo. Lavorare sotto traccia, per far sì che la platea venga ristretta e il reddito erogato solo a pochi. Poi ci sarà la sfida della comunicazione, dove la “bestia” di Morisi se la dovrà vedere con il “codice” Rocco. In Lega lo sanno tutti: anche dovessero prenderlo solo due persone, il reddito di cittadinanza verrà giocato in chiave mediatica a tutti i livelli, con tutta la forza dei social. E questo potrebbe portare a risultati delle Europee non vantaggiosi come si spera, per la Lega. E sarebbe un bel problema. Alzare polveroni, oggi, non è però possibile. Perché il Movimento può tenere in ostaggio una “trattativa” che alla Lega sta molto a cuore: l’autonomia. Quell’autonomia che giusto un anno fa Lombardia e Veneto hanno promosso alla grande in un referendum. E che è un po’ incagliata, tra uno scoglio e l’altro, tra un passetto avanti e mezzo indietro, in un balletto che sta facendo innervosire molti, nell’entourage di Fontana e di Luca Zaia.
Quindi, avanti piano nella polemica, ma tanto lavoro sotto traccia. Per non parlare delle Olimpiadi: è prestissimo per annunciare fondi governativi (anche se la speranza di farcela è forte, dopo la rinuncia anche di Calgary) e Giancarlo Giorgetti che non è stupido lo sa bene. Meglio far passare le Europee, e poi vedere chi avrà le carte per comandare. Per adesso le priorità sono la sicurezza, con il decreto Salvini, la pulizia delle città e la riqualificazione delle periferie. Del resto, Beppe Sala l’ha capito al volo e la sua narrazione ha tolto il termine “periferie”, che aveva ereditato da Pierfrancesco Majorino (“ho l’ossessione per le periferie”, diceva durante le primarie l’assessore), per sostituirlo con un più potabile “quartieri”. La Lega, invece, sta apparecchiando tutto affinché proprio nelle periferie-quartieri si svolga la prossima battaglia epocale. Da una parte con il rilancio di Aler Milano, dall’altra con l’accento amplificato su ogni episodio di insicurezza, percepita o reale. Anche qui, il reddito di cittadinanza sarà fondamentale: se davvero arriverà nei sobborghi di Milano, il Movimento inizierà a fare breccia in un territorio tradizionalmente ostile. Un M5s che ha un rito ambrosiano assai diverso da quello romano, che non si oppone alle grandi opere, che tifa per le Olimpiadi, che non ha paura di parlare con le banche, con le grandi società, con i portatori (legittimi) di interessi. E viene in mente una frase di “Tutto è bene quel che finisce bene: “La verginità è stizzosa, superba, oziosa, impastata di egoismo, che, secondo la legge canonica, è il peccato più deplorevole. Non conservatela: non fareste che rimetterci. Mettetela a frutto: nel giro di dieci anni l’avrete decuplicata, che è un bell’incremento, senza intaccare il capitale”. In chiave elettorale, non una sfida da poco.