Guzzetti, il giovane vecchio, e le grandi partite che passano da lui
Cdp, Monte dei Paschi e Unicredit. Così l'ex dc continua a tessere la rete di relazioni e potere
"L’imperativo categorico è quello di mantenere una prudente amministrazione del risparmio postale. Questo è un principio non negoziabile. Cdp non deve svolgere un ruolo che spetta allo Stato. La Cassa deve avere una bussola molto chiara: il controllo dell’equilibrio economico finanziario degli investimenti”. Mittente: Giuseppe Guzzetti. Destinatari: Luigi Di Maio e, in seconda battuta, Giuseppe Conte. A 84 anni suonati, mentre si prepara la sua successione in Fondazione, il banchiere più potente d’Italia, l’imperatore delle fondazioni bancarie, il dominus della cassaforte della Lombardia, non si spaventa. E non si tira indietro.
Il braccio finanziario del Mef non deve essere la nuova Iri. E non deve immischiarsi in partite complesse e, soprattutto, finanziariamente difficili, come Telecom e, ancora di più, Alitalia. Un affronto non da poco per chi è alle spalle, osservatore privilegiato, della banca di sistema per eccellenza, Intesa Sanpaolo. Ma che il rapporto socio-politico e forse anche civile con i due partiti di governo non sia idilliaco non è un segreto. Al punto che subito dopo la sua nomina, il presidente di Cdp, Massimo Tononi, assai vicino al mondo guzzettiano-bazoliano, ha fatto capire a Di Maio & Co. di essere disposto a mollare la cadrega. Perché lo sanno tutti che Alitalia è un bacino di voti inesauribile, ma sono voti “romani”, non milanesi o lombardi. E a Guzzetti queste cose non interessano. Ma è altrettanto vero che lo Stato non deve o non dovrebbe entrare nel capitale della disastrata compagnia di bandiera.
Così, se pubblicamente l’attenzione del potente capo della Fondazione Cariplo è tutta per il Terzo settore e l’housing sociale, sottotraccia continua a tessere la rete di relazioni e potere per avere voce in capitolo e ancora di più peso specifico proprio in Cdp, che viene tirata per la giacchetta su ogni dossier e che può dare un nuovo futuro, tutto italiano, alla rete infrastrutturale telefonica e allo sviluppo della fibra con Open Fiber e Telecom. Ecco, il cappello di Guzzetti qua sopra c’è. Perché poi Cdp è anche, come ha ribadito, risparmio postale, cioè soldi degli italiani. E guai pensare che l’ex presidente della Regione Lombardia non guardi al territorio, al locale e ai cittadini.
E se al momento la battaglia sulla Cdp lo ha visto assestare un bel colpo alle mire espansionistiche di Di Maio e non solo, il prossimo futuro di Guzzetti si chiama, ancora una volta, Intesa Sanpaolo. Per due ragioni. Innanzitutto perché il principale rivale creditizio, l’Unicredit guidata da francese Jean Pierre Mustier, guarda con sempre maggior attenzione all’estero e a un merger che prima o poi la porterà fuori dai confini italici. E poi perché il 2019 sarà con ogni probabilità l’anno decisivo per quel che attiene al futuro del Monte dei Paschi di Siena. La banca toscana, nazionalizzata per necessità, tornerà sul mercato: sarà il dossier per eccellenza del settore creditizio. Ed è inevitabile che Intesa Sanpaolo debba in qualche modo occuparsene. Magari anche solo studiando il dossier. Anche per preservare quella che un tempo era la terza banca italiana e mantenerla sotto il Tricolore. Operazione non facile, ovviamente. Ma forse necessaria.
Come ha dimostrato la doppia acquisizione di Veneto Banca e Popolare Vicenza. Un’operazione “di sistema” come si è detto quella compiuta dalla banca guidata da Carlo Messina, nuovo delfino guzzettian-bazoliano. E se non dovesse essere Mps il focus, altri istituti (Carige?) potrebbero dover essere salvati da chi ha le spalle larghe. Anche se non più di due anni fa, lo stesso ceo di Intesa disse lapidario: “Sono operazioni che industrialmente non possono creare nessun valore per gli azionisti, i clienti e chi lavora in banca. Noi siamo sovrapposti con Mps in tutta Italia e quindi non vedo la possibilità di realizzare un’operazione che abbia un valore industriale”. Poi, però, le cose possono anche cambiare.