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La medicina salva-Pd di Calenda, controindicazioni

Fabio Massa

Lista più larga ma euro-seggi più stretti. Le famiglie riformiste. Un bugiardino minimo

Medicine: in tempi antiscientisti, rifarsi sempre a Groucho Marx: “L’ultima volta che sono andato dal dottore mi ha dato tante medicine che, una volta guarito, sono stato male per un mese intero”. Carlo Calenda ha proposto il suo “Manifesto per l’Europa. Può essere la medicina per salvare la sinistra liberal e soprattutto il Pd, e aprirlo al futuro. Ma è una medicina con molte istruzioni e qualche controindicazione, per Milano. Bugiardino minimo da leggere prima dell'assunzione.

 

POSOLOGIA E CONSERVAZIONE - Carlo Calenda vuole aprire il Pd. Zingaretti dice di voler fare lo stesso, infatti subito ha aderito. A Milano c’è chi spera che Carlo Calenda voglia candidarsi capolista alle Europee, ma le sue più recenti dichiarazioni ancora non sciolgono la prognosi, né tanto meno danno indicazioni geografiche. Franceschini è anche più esplicito: il manifesto apre a una lista “da Calenda a Pisapia”. Dove quest’ultimo non è un nome sparato a caso, ma proprio l’obiettivo di un percorso di convincimento che pare sia già cominciato. L’idea è di riportare il riluttante ex sindaco di Milano a bordo, evocando i barbari al governo di Salvini e Di Maio. Insomma, chiamata alle armi di fronte al Nero Cancello di Sauron. Roba da Tolkien. L’effetto della medicina Calenda ovviamente è molteplice. “Mi piace perché delimita il campo e può essere utilissima sia prima che dopo le Europee”, spiega al Foglio Lia Quartapelle. Quartapelle è l’esponente del gruppo dirigente milanese che per prima è confluita su Zingaretti, anticipando l’appoggio del gruppo dell’ex segretario Bussolati.  “Diciamo che Calenda con l’opzione europeista mette una zeppa che poi non si può ignorare. Non a caso Bersani ha già detto che non ci sta”, continua Quartapelle.

EFFETTI COLLATERALI - Ovviamente la medicina Calenda apre il partito, ma lo limita anche. Che cosa faranno i fan italici di Corbyn e Mélenchon di fronte a una opzione europeista, quando i loro riferimenti culturali sono assai critici sull'Europa? Fassina, che si richiama a quell’esperienza (in sedicesimo, o forse meno) non è un caso che dichiari di dialogare meglio con la Lega sull’Europa, che con la sinistra. La verità è che Calenda segmenta tra chi ha una cultura europeista, e dunque riformista, e chi invece non ce l’ha. Ovviamente è un messaggio liberal che su Milano può avere più presa che da altre parti. Se non avesse delle controindicazioni.

 

CONTROINDICAZIONI, SEGGIOLE - La prima è a livello di poltrone. Anzi, seggiole. Anzi, strapuntini. Il Pd arriva da un risultatone alle Europee di oltre il 40 per cento nel Nord-Ovest. A Milano Renzi raggiunse quota 44. Impossibile non solo pensare di replicare, ma il rischio probabile è di dimezzare quel 44. I più ottimisti pensano che quota 5 europarlamentari nel collegio Nord-Ovest siano raggiungibili. I più pessimisti puntano su tre. E’ il quattro (in medio stat virtus) il numero più probabile. Se così fosse, rischiano tutti. Perché il manifesto Calenda impone di allargare non “ai pisapiani” ma “a Pisapia”. Cioè funziona solo se vengono coinvolte figure di grande traino. E questo traino viene da figure pesanti che non potrebbero avere altro posto che quello da capolista. Si aggiunga che Milano tradizionalmente non riesce a proporre un capolista autoctono, e si finisce a pensare che i quattro posti probabili per il territorio diventano direttamente tre. Pierfrancesco Majorino, al netto delle scelte personali, con il manifesto Calenda non potrebbe guidare la compagine. Sala sarebbe contento di dover sostenere Pisapia? Forse sì, forse boh. E Majorino? Ovvio che si voglia candidare solo con fune di protezione (Sala ha già detto che non obbligherà nessuno a dimettersi prima) e solo con grandi appoggi. In ogni caso, l’opzione Calenda leva un posto dei pochi a tavola, e c’è poco da fare.

 

CONSERVARE IN FRIGO - C’è poi qualcos’altro, di più profondo. Che riguarda i riformisti milanesi. Che sono spaccati in tre. Da una parte gli ortodossi di Giachetti, che sono i veri vincitori morali della partita nei circoli, pur essendo arrivati terzi. Poi la nomenklatura ch sta con Maurizio Martina. E infine Lia Quartapelle e i suoi. Ad oggi, qualunque velleità di governare i processi di cambiamento, stante la divisione, è in frigorifero. L’opzione Calenda per qualcuno è il modo di uscire dall’impasse. “Ho votato Zingaretti perché penso che lui sarà capace di fare un partito plurale – auspica Quartapelle – Tanta gente soprattutto tra i dirigenti è preoccupata dal modello chi vince piglia tutto. Io non penso che vorrà fare questo. Mi auguro che a un certo punto si riprenda l’iniziativa politica su Milano e che il gruppo milanese possa ricompattarsi”. Ma l’incognita è semplice: che cosa succederà quando gli europarlamentari capiranno che la medicina Calenda ucciderà sicuramente qualcuno di loro? E che cosa succederà il giorno dopo le elezioni, quando in preda al panico da sconfitta la nuova dirigenza di sinistra dovrà scegliere se rivolgersi al riformismo di centro o provare a ri-coinvolgere la sinistra-sinistra? Sopravviverà il manifesto o sarà solo lettera morta?

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