Foto LaPresse

Ha ancora senso insegnare la politica? La scuola di Cacciari

Luciana Grosso

La Scuola per Politici e Amministratori di Enti locali e Regioni, avviata con l’Università Vita Salute del San Raffaele e con il Comune di Cesano Maderno

Cosa si fa quando, di qualcosa, non ci si capisce niente? Si va sui social e se ne discetta. No. Risposta sbagliata. Si aprono e i libri e ci si mette a studiare, per quanto sia poco di moda. Questa la ricetta di Massimo Cacciari e della sua Scuola per Politici e Amministratori di Enti locali e Regioni, avviata con l’Università Vita Salute del San Raffaele e con il Comune di Cesano Maderno. Partirà in marzo la seconda edizione di questo percorso, che dallo scorso anno ha riallacciato un antico rapporto tra il comune brianzolo e l’Università del San Raffaele, che si era interrotto negli scorsi anni ma che già al principio aveva avuto tra gli obiettivi un collegamento, e una ricaduta positiva, tra il lavoro dell’ateneo e il territorio. Vocazione rilanciata da questa scuola, in un momento in cui la parola “politica” appare destituita di valore, tanto più se collegata a una competenza specifica.

 

La scuola di Cacciari punta sull’idea che per fare, e fare bene, occorre prima sapere. Un concetto parecchio anticonformista di questi tempi. Professore, chiediamo, è proprio sicuro che l’idea di studiare e fare lezione sia una buona idea in tempi in cui, se vuoi insultare qualcuno, gli dai di “professorone” o “intellettualone”? Sicuro sia una buona idea, oggi che uno vale uno e e si ha orgoglio dell’ignoranza? “Beh – dice Cacciari a cui il sarcasmo non manca anche se, si capisce, è stanco di combattere da anni le stesse battaglie – potremmo per lo meno provare a  insinuare il dubbio, la vaghezza, che eleggere persone che non hanno competenze rispetto ai temi sui quali devono prendere decisioni non sia una grande idea. Potremmo provare, così per esperimento, a eleggere qualcuno che sappia di cosa parla e vedere come va”.

 

Si capisce che non ce l’ha solo con la dirigenza gialloverde, che pure non gli piace, ma anche con tutti quelli che sono venuti prima e prima ancora. “Il mondo, oggi, è in una situazione di disordine  che arriva dalla fine della Guerra fredda, grosso modo dalla fine degli anni ’80. Finita quella fase qualche sciocco si era illuso che si fosse giunti a un unico e stabile ordine mondiale liberal-democratico solido e sostanzialmente eterno. Ma così, evidentemente, non è stato. Anzi. Tutto il contrario. Tanto è vero che oggi le istituzioni pensate per governare quel mondo che si credeva stabile e pacificato per sempre appaiono fatiscenti, obsolete, inadeguate. E le cosiddette élite che guidavano il mondo in quell’epoca non sono state in grado di capire cosa stava succedendo, e, soprattutto cosa sarebbe successo da lì a poco. Anzi. Hanno perso del tutto non solo il ruolo di guida della realtà, ma la sua conoscenza stessa. Alla fine sono risultate lontane, avulse e, per di più, incapaci di comprendere e governare quello che stava succedendo”. Sembra brutto? Poi peggiora. “E per di più, quella classe dirigente, non è neppure state in grado di crearsi una discendenza, degli eredi, qualcuno che potesse prendere il loro posto, rimasto vacante”.

 

Così, vista la sfilza di insufficienze che la vecchia e nuova classe dirigente si ritrova in pagella, tocca, come a scuola, mettersi sotto, che il tempo è poco e le pagine rimaste indietro, tante. “L’intellettuale, oggi, ha il dovere di costruire il pensiero critico” dice Cacciari volando così alto che temiamo di perderlo. Ma poi torna giù, dalle parti di quel territorio che qualcuno dovrebbe tornare a governare: “Oggi chiunque faccia politica, sia che lo faccia al governo di un grande paese europeo, sia che sia consigliere comunale di un comune di pochi abitanti, non può più prescindere da una profonda e attenta specializzazione. Non può saltare, per esempio, la conoscenza delle cose dell’Europa, perché è quello, oggi, il contesto in cui si opera, per di più in un mondo che oggi è particolarmente complesso. L’Europa è l’unico quadro all’interno del quale dobbiamo e possiamo muoverci. Come se fosse una navicella a cui restare aggrappati, altrimenti si affonda. Si naufraga in via definitiva, senza che ci sia nessun porto di Catania o di Siracusa a accoglierci”. Ma allora, come conciliare l’estrema complessità dei tempi e del mondo con la parossistica necessità di semplificazione, con la poca attenzione dei lettori e dei cittadini che, per lo più si informano scorrendo per pochi secondi il vetro di un cellulare? “Ma nella semplificazione non c’è niente di male. Anzi: è una cosa ottima. E’ da considerarsi tra i pregi di un politico quello di rendere semplici e accessibili cose che semplici e accessibili non sono. Bravo chi ce la fa. Quello a cui bisogna fare attenzione è capire se si stanno semplificando cose complicate o sonore cazzate. In tal caso non si ha più a che fare con la politica ma con la demagogia”. Che della politica e del modo giusto di fare le cose, è l’esatto opposto.

Di più su questi argomenti: