Il sogno interrotto della grande città dei sindaci
“Milano non è una megalopoli e non può sicuramente proporsi di diventarlo adesso”, spiega Piero Borghini
“Milano è la città metropolitana che non sa di esserlo”, spiega Piero Borghini, migliorista eretico negli anni ’80, sindaco di Milano all’inizio degli anni ’90. “La città che mi aveva lasciato in eredità Carlo Tognoli, dopo i suoi 11 anni da sindaco, si comportava già da città metropolitana”. Già Carlo Tognoli, il sindaco più amato dai milanesi, spedito da Bettino Craxi al governo come ministro per le Aree urbane, col compito di modernizzare le grandi città italiane. Milano città stato, Milano città metropolitana e poi la legge speciale per Milano mai nata. Ci hanno provato in tanti.
“Milano non è una megalopoli e non può sicuramente proporsi di diventarlo adesso”, insiste Borghini. “E’ piuttosto il cuore di un arcipelago funzionalmente integrato e densamente popolato, punteggiato di città e comuni che ne costituiscono, per così dire, le isole”. “Isole” dotate di ampia autonomia e di radicati e profondi sentimenti di appartenenza locale che è necessario rispettare”. L’ultimo a gestire la pratica “città metropolitana” in Provincia è stato Franco De Angelis, voluto da Guido Podestà nel 2013 per affrontare la transizione imposta dalla legge Delrio. “Un fallimento”, spiega l’ex enfant prodige dei repubblicani milanesi, già assessore al comune di Milano. “Perché quei sei mesi che avrebbero dovuto modellare il profilo e i poteri della città metropolitana trascorsero senza nemmeno convocare la conferenza Stato-regioni. Fu una manovra politica di Renzi per occupare le amministrazioni locali. Poi il referendum costituzionale ha fatto giustizia, lasciando però orfano il sistema delle autonomie”, conclude De Angelis. “Una maggior autonomia regionale oggi non deve sacrificare l’autonomia della città metropolitana”, insiste Borghini, convinto che una soluzione equilibrata, al netto del clima elettorale, possa essere trovata.