Ma un progetto per la povera piazza Duomo, lo faranno mai?
Il luogo simbolico di Milano è senza identità e non ci sono idee per rilanciarlo
Piena di gente è sempre stata, piazza Duomo. In certe foto vecchie in bianco e nero non c’è soluzione di continuità tra la marea di teste e i palazzi circostanti. Certo, erano grandi eventi, di quelli da libri di storia. Presidiata dalle truppe di Bava Beccaris nel 1898; gremita di gente per Mussolini nel 1932; i comizi per il referendum del 1946. Un mese fa, invasa dalle penne nere come nel 1956, quando gli alpini arrivarono in centomila per i funerali di don Gnocchi. Oggi invece i grandi eventi sono concerti che ormai fanno parte di una routine pubblica un po’ stantia, o qualche comizio politico. I 40 mila metri quadri della piazza (considerata nella sua totalità, dunque una delle piazze più grandi d’Italia), da sette secoli sono il luogo pubblico per eccellenza, un’anima della città. Ma da molti anni, troppi, piazza Duomo è un luogo che non ha un’identità. È un luogo di passaggio, di commercio, di sosta, senza una chiave di interpretazione. Così la piazza più importante e popolare di Milano, e la più grande d’Italia, è anche la più degradata e la meno tutelata, messa sotto pressione da una quantità di appuntamenti che la snaturano e la rendono vulnerabile. Musica, comizi, installazioni.
La città di trasforma e migliora, l’amministrazione ha appena presentato i nuovi progetti di riqualificazione di piazzale Loreto, piazza Cordusio, persino l’adiacente piazza Diaz, e ha idee ardite persino per arterie vitali come Buenos Aires e corso Venezia. E invece, piazza Duomo non si riesce a ripensarla. E’ tutto ok? “Fino a un certo punto – risponde al Foglio Filippo Del Corno, assessore alla Cultura – Dobbiamo avere la possibilità di programmare le attività attraverso una selezione che, in parte, già utilizziamo. Se dicessimo sì a tutte le richieste, piazza Duomo sarebbe impegnata 365 giorni l’anno. Gli eventi del mio assessorato sono quattro all’anno: il concerto del 31 dicembre, quello di Radio Italia di musica pop, il grande concerto della Filarmonica della Scala e da quest’anno la performance di Roberto Bolle. Eventi di altissimo livello, di forte impatto sulla città che ritengo giusto si svolgano in piazza Duomo. Ma in totale non dovrebbero essere più di dieci”. E invece chi decide? “Abbiamo un comitato interassessorile che valuta le richieste di occupazione di suolo pubblico, e non possiamo dire molti no se la procedura amministrativa è corretta dal punto di vista d’impatto architettonico e viabilistico”.
C’è anche il fatto che l’occupazione di suolo pubblico rappresenta notevoli introiti per il comune. Giustificazione sufficiente per trasformare piazza Duomo in una specie di suk, come lamentano tanti? “In realtà ci sono diversi coefficienti di pagamento: un’iniziativa di tipo commerciale paga il 100 per cento della tassa di occupazione di suolo pubblico, un’iniziativa di carattere culturale paga il 20, e via via a seconda della tipologia”. E l’occupazione da parte della politica? “Riguarda la prefettura, sono manifestazioni normate a livello nazionale. Si sono messi d’accordo tra privati, intelligentemente, per l’utilizzo dello stesso palco, tra la Lega, la Radio e la Filarmonica, e in questo modo i costi dell’allestimento sono stati spalmati sui tre soggetti. E non avremmo mai potuto dire di no alla Lega o a qualsiasi altro partito perché nel momento in cui la prefettura autorizza, ratifichiamo”.
Tutti d’accordo, eppure monsignor Gianantonio Borgonovo, arciprete della Cattedrale, si è recentemente lamentato della situazione, e i rapporti tra la Fabbrica e il comune, sulla gestione di questo spazio condiviso, non sono mai stati idilliaci. “Il disordine di piazza Duomo è frutto non delle occupazioni temporanee, ma del fatto che da troppo tempo non si svolge una riflessione urbanistica”.
L’inghippo sta proprio lì. Si è messa mano a piazza Castello, iniziano i lavori in piazza Diaz, ma nessuna idea per piazza Duomo: pare un problema irrisolvibile. “Una piazza non vive se non è abitata dalle persone, non possiamo pensarla come un monumento da rispettare a distanza – dice Paolo Caputo, professore di Progettazione architettonica urbana del Politecnico – È da sempre il centro di questa città e come tale va celebrata. Il fatto che ci siano manifestazioni di massa sta nelle cose. Ci sono senza dubbio degli abusi, ma dobbiamo accettare che sia una Time Square celebrativa della globalità”.
Come la immagina, questa piazza? “Ho la mia idea, a cominciare dal verde che non c’entra nulla: né essenze botaniche né alberi (le famose palme giunte da poco tempo, un progetto rimasto inespresso; ma anche Claudio Abbado sognava di piantare un bosco nella piazza, ndr). Sono un fatto estraneo alla cultura e alla qualità del luogo. Estenderei lo spazio della superficie della piazza e del sagrato alla piazzetta Reale, le spalle dell’abside e quota a parte di Vittorio Emanuele che sta tra la Rinascente e altri palazzi, creerei un ambito unico di riferimento della piazza modulandolo alla capacità di espansione di questa città. Bisogna lavorare con la pavimentazione, con il mezzanino della metropolitana, creando un rapporto tra la piazza sotterranea e quello che c’è sopra, trovare raccordi con la Galleria da una parte e piazza Diaz dall’altra. Sarebbe un grande esercizio di progettazione e quando lo spazio urbano è curato nel dettaglio, come a Porta Nuova, c’è il rispetto da parte del pubblico per la qualità che si conferisce alla città. Pensiamo alla riqualificazione di piazza Scala, di piazza Liberty, tutti luoghi che sono più rispettati, oggi. Sarebbe un’opportunità per la Veneranda Fabbrica del Duomo, per le istituzioni che si affacciano sulla piazza, per l’amministrazione comunale, mettere intorno a un tavolo istituzioni, intelligenze e culture dello spazio urbano per provare a trovare una soluzione”.
Ma c’è anche chi è critico senza mezzi termini. “Piazza Duomo è ridotta così perché a Milano le occupazioni costano e chi paga ha ragione. Se riuscissero a vendere lo spazio intorno alla Madonnina per farci un sushi bar, lo farebbero – dice convinto Maurizio De Caro, architetto, per anni docente di Estetica al Politecnico – Ci si blinda dietro alla Filarmonica o ad alcuni altri momenti particolari, ma ci sono anche eventi che dire gestiti da autodidatti è poco. Quello che è drammatico è che la piazza ha ormai perso la sua identità di sagrato e di piazza centrale della città. Non c’è distinzione fra l’aspetto commerciale e quello culturale. L’estetica è ricerca della bellezza, ma la bellezza milanese lì viene quotidianamente umiliata. Il tema fondamentale è che questa città ha perso il gusto di ragionare in profondità, si limita a stare sull’onda”. Poi ovviamente ci sono gli interessi commerciali, e il turismo. Difficile comporre tutto. Ci vorrebbe un segnale di coraggio da Palazzo Marino, per ridare un’anima al luogo simbolo della città che invece sembra averla persa.