Borletti Buitoni ci spiega perché l'autonomia dei musei va difesa
L'ex sottosegretario alla Cultura attacca la controriforma Bonisoli. "Porterà nuova destabilizzazione e inefficienza"
La controriforma Bonisoli, il sindaco di Firenze Dario Nardella la definisce un “atto antipatriottico”. Peter Aufreiter, direttore della Galleria nazionale delle Marche, ha deciso di lasciare perché non si sente più utile al 100 per cento, dopo i cambiamenti che il ministero dei Beni culturali sta adottando. L’autonomia dei grandi musei ora autonomi diminuirà e lì sta il nocciolo dei problemi, e con essa anche la collaborazione tra pubblico e privato che a Milano, città virtuosa in ambito culturale, funziona. E Milano lancia l’allarme. “Le riforme, in genere, sono sempre molto destabilizzanti per le strutture – spiega al Foglio Ilaria Borletti Buitoni, vicepresidente del Fai, ex sottosegretario con Franceschini al Mibac, per cinque anni impegnata con grande passione sulle politiche del paesaggio – Quella firmata da Franceschini aveva una sua ratio che era quella di andare verso una autonomia totale dei musei, anche se c’era ancora da completare il percorso. Ma ora, con la riforma del ministro Bonisoli, questo percorso viene interrotto e si torna indietro. Quindi nuova destabilizzazione per una struttura estenuata come quella ministeriale”.
Autonomie gestionali depotenziate. “Ho vissuto molto in Inghilterra e in altri paesi europei dove la l’autonomia dei musei è una grossa spinta alla loro efficienza, quindi la difendo come principio. E’ chiaro che i musei vanno regolati e Bonisoli ha ragione quando sostiene che non se ne debba fare un uso improprio e che ci sia bisogno di un codice generale di azione, però l’autonomia permette sia ai direttori che alle istituzioni una libertà di manovra anche per trovare sostegni esterni ai fondi pubblici. Il Victoria & Albert Museum ha venti persone che si occupano del marketing e del fundraising privato, all’Accademia di Venezia ne hanno mezza. Pur nella coscienza che il patrimonio pubblico debba essere naturalmente garantito, l’autonomia amministrativa è un grosso passo avanti per l’efficienza organizzativa”.
Ilaria Borletti Buitoni, sottosegretario alla Cultura dal 2013 al 2018 (Foto LaPresse)
Si romperà il buon rapporto tra pubblico e privato? “Milano è una città culturalmente straordinaria perché ha fatto rete: pubblico, privato, fondazioni bancarie, enti del terzo settore collaborano senza preconcetti di natura ideologica e questo è fondamentale. Il Fai non c’è dubbio che sia una istituzione privata ma che agisce con uno scopo pubblico. L’accoglimento di una fondazione come questa anche nella gestione dei beni pubblici va a tutto vantaggio di una finalità collettiva. Credo che una delle ragioni per cui la gestione del nostro patrimonio culturale in Italia sia così arretrata stia proprio in questa diffidenza congenita che riguarda il rapporto tra pubblico, privato e terzo settore”.
Con delle felici eccezioni come Milano. “Certo, dove c’è un’amministrazione che ha saputo svolgere il ruolo del direttore d’orchestra e ha favorito questo tipo di integrazioni senza che si ricorresse a delle barriere di carattere ideologico. Milano ha una tradizione al mecenatismo che hanno poche città in Italia, forse è l’unica. Che nasce dalla straordinaria tradizione della borghesia del dopoguerra ma anche dalla tradizione del cristianesimo milanese. In questo senso Milano ha accolto la sua storia, l’ha sviluppata e sostenuta con risultati che sono sotto gli occhi di tutti”.
Il ridimensionamento dell’autonomia porterà il numero dei musei da 22 a 19 (quattro torneranno nell’alveo ministeriale) e l’abolizione dei consigli di amministrazione. Che accadrà? “Diciamo anche le cose come stanno. I cda, così come erano stati concepiti non erano né carne né pesce. Se erano a un passo da una maggiore autonomia, tutto andava portato fino in fondo. Se invece i cda sono visti come un limite che impedisce il ritorno alla centralità statale allora la logica è quella di abolirli. Io sono sempre per l’autonomia e il controllo, nel senso che ogni fondazione museale deve rispondere a criteri di buona gestione, di correttezza amministrativa e credo che un’autonomia ben fatta vada a tutto vantaggio del nostro patrimonio culturale. Ma l’autonomia non era assolutamente completata e i cda dei musei non avevano per niente i poteri che avevano in altri paesi. Se il percorso è da uno a dieci si era fatto quattro, non di più. Bisognava andare avanti, bisognava che le fondazioni fossero responsabili del personale, fare in modo che ci fosse una vera e propria autonomia amministrativa e cda in grado di muoversi e di trovare risorse esterne e altrove ovviamente mantenendo il controllo dello stato sulla gestione culturale. Ma l’autonomia non è un limite o un nemico”.
Lei è il nuovo presidente di una tra le più antiche istituzioni concertistiche d’Italia, e la più antica di Milano: la Società del Quartetto, (terza, della famiglia Borletti, a questo posto, dopo bisnonno e nonno) e in questo ruolo ha lanciato un appello al ministro Bonisoli. “Per dire che le società dei concerti in Italia e chi si occupa di musica classica, è in una situazione direi quasi morente a causa di un decreto che non è stato fatto da Bonisoli ma dal governo di cui, ahimè, facevo parte e che ha completamente penalizzato la qualità a favore della quantità e questo per la musica classica è stato devastante. Siamo passati da 25 concerti a oltre 120 che significa non aver capito niente di musica classica. Ho quindi fatto un appello al ministro, perché riveda i termini di questo decreto e soprattutto includa le società di concerti nell’Art bonus, perché ci sono tutti i festival, gli enti lirici, i teatri ma non le società di concerti. Questo governo e questo ministero in particolare, devono, come peraltro avevano promesso, correggere rapidamente il tiro a favore della qualità”.