Leonardo? Ce l'ho!
La Madonna Litta arriva al Poldi Pezzoli. I prestiti funzionano, se i musei sono liberi e bravi
In tempi di ridicoli veti burocratici che vorrebbero impedire all’Uomo vitruviano di andare al Louvre, e di critici che esternano indignazione, fuori tempo massimo, perché anche il disegno del Paesaggio di Leonardo lascerà pro tempore gli Uffizi, sempre in direzione Parigi, succede questo: che un prezioso Leonardo torna nella sua Milano, in prestito, dalla San Pietroburgo in cui è conservato e dal 7 novembre al 10 febbraio 2020 la Madonna Litta sarà una delle cose più belle da vedere in città, al Museo Poldi Pezzoli.
La preziosissima opera fu dipinta proprio a Milano nel 1490 (l’attribuzione canonica è al Genio da Vinci, ma è opera in gran parte di suoi magnifici allievi meneghini, il Boltraffio e Marco d’Oggiono), e averla riportata in città dall’Ermitage è il segno di istituzioni, e regole di collaborazione internazionale, che funzionano. Anche quando l’iniziativa è privata: La Fondazione Artistica Poldi Pezzoli è infatti una onlus, ma nel suo cda partecipano Mibact, Regione Lombardia, Provincia e Comune di Milano. E’ un museo che, oltre ad essere un pezzo di storia del mecenatismo milanese, funziona molto bene. Sapendo cos’è la conservazione, e cos’è la valorizzazione.
L’ultima acquisizione del Poldi Pezzoli è un quadro attribuito ad Antonello da Messina, la Vergine leggente, donato al Poldi Pezzoli da Luciana Forti in ricordo del padre Mino. Ma di recente sono arrivati al museo anche 300 orologi provenienti dalla collezione di Luigi Delle Piane e che andranno ad affiancare quelli della donazione Falk e Portaluppi. Per citare solo le operazioni in entrata più importanti. Per un totale, oggi, di quasi seimila oggetti. Il museo ha una preziosa collezione di dipinti che sono stati realizzati nell’atelier di Leonardo, oltre a dipinti lombardi di quel periodo. Quindi, un capolavoro, ma non solo quello. “Per valorizzare le nostre collezioni partiamo da opere che appartengono al nostro patrimonio – Annalisa Zanni, da 19 anni direttore del museo – E’ il caso di questa mostra formata da venti opere che immergono questo capolavoro all’interno di un contesto storico artistico e incrociandolo con altre opere”.
L’operazione “Leonardo e la Madonna Litta” (il titolo della mostra) è di rilievo, il quadro torna per la prima volta per la prima volta a Milano dopo quasi trent’anni e una storia affascinante e molto lombarda. “La Madonna Litta è strettamente legata a Milano – racconta Zanni – è stata eseguita qui e mostra notevoli affinità stilistiche con la seconda versione della Vergine delle rocce conservata alla National Gallery di Londra. Nel Ducato il dipinto conobbe una notevole fortuna, come dimostra il grande numero di copie e derivazioni eseguite da artisti lombardi che ci sono pervenute”. Dal 1814 era nella collezione dei duchi Litta che avevano il loro palazzo in corso Magenta, finché nel 1865, Antonio Litta Visconti Arese la cedette allo zar Alessandro II”. Da allora si è mossa sei volte dall’Ermitage di San Pietroburgo e una di queste per venire a Milano, trent’anni fa, a Palazzo Reale.
Non è semplice, di questi tempi – per sacrosanta legislazione ma anche per le polemiche strumentali che spesso insorgono, farsi prestare un’opera di questo valore. “L’Ermitage ha organizzato alla fine dello scorso anno una mostra monografica dedicata a Piero della Francesca di cui non possedevano nessun dipinto, ma volevano far conoscere questo genio del Rinascimento italiano. Ovviamente siamo stati richiesti per il prestito della nostro San Nicola da Tolentino di Piero. La tavola non era mai uscita dal museo, abbiamo avuto dei tentennamenti. Intanto s’è avviato un rapporto con il direttore Michail Piotrovskij che ha iniziato a proporci di poter avere la Madonna Litta. Quindi erano già due anni che avevamo la certezza che la Madonna sarebbe arrivata, firmando un contratto che ce la concedeva per tre mesi. Ora non è così facile avere prestiti dalla Russia. Da poco una legge restrittiva consente ai dipinti importanti di lasciare la Russia per non più di un mese. Sia noi che il Louvre, con la Madonna Benois, siamo tra i pochi che abbiamo ottenuto di mantenere le condizioni di prestito a tre mesi”.
Eppure i prestiti e gli scambi sono fondamentali. “Noi siamo oggetto di continue richieste di prestiti. Ferma restando l’importanza della collaborazione scientifica, un’opera dovrebbe essere prestata se ne riceve un arricchimento di studi, di ricerche, di conoscenza. Questo, in qualche modo va a compensare i rischi che corrono le opere nel trasferimento. Bisogna porsi la domanda: ha un senso? L’opera viene arricchita? Abbiamo mandato opere in Giappone sempre con un progetto scientifico: si trattava di valorizzare la collezione del nostro Rinascimento. I giapponesi sono molto presenti a Milano anche al Poldi Pezzoli e quello serviva a esporre le nostre opere dando strumenti di conoscenza. Tant’è che molti giapponesi, tornando a Milano venivano a vedere il palazzo, la sua storia, la contestualizzazione. Prestare opere per fare le code sottraendole ad altri musei senza che ci sia una motivazione scientifica, personalmente non lo condivido”. Il Poldi Pezzoli rappresenta Milano e quel rapporto pubblico privato che è l’anima della città. Oltre ai ruoli istituzionali, ci sono il supporto di “Ubibanca, Credit Suisse, Banco Popolare, Van Cleef & Arpels e altri credono nel valore di questo scrigno prezioso. Fondazione Bracco è main partner della mostra, abbiamo allargato i nostri spazi con tre sale in più grazie alla generosità di un donatore, Mario Franzini”. Milano che funziona.