El nost Natal
Una mostra a Palazzo Morando e il libro del gran Gianrico Tedeschi. Per milanesi veri e per quelli post Expo
E va bene, adesso il Natale è quello di Amazon e Milano è quella delle “week”. Ma forse per cogliere al volo lo spirito cittadino delle feste vale la pena capire come ci si facevano gli auguri sotto la Madonnina nel Novecento. Roba da regalarsi o da regalare a chi Milano la conosce da quando è nato e a chi invece ci è arrivato dopo Expo. Roba di cultura pre metropolitana da mixare con quella cosmopolita. Roba di panettone di Cucchi contro quello di Gattullo, di eleganza del ghisa tutto in bianco contro chiffon e naftalina per la prima della Scala. Altro che maxischermo con la Tosca a far da sfondo ai selfie; altro che metro Lilla, sacrilegio motorio privo di “manetta” a fare da guida suprema. A compiere un salto indietro nel tempo – o avanti per la prossima tendenza di recupero vintage – ci aiutano una mostra e un libro, contenitori senza fondo di memoria storica milanese da mettere senza meno sotto l’albero.
La mostra è quella di Palazzo Morando, in gran spolvero fino al 9 febbraio per accogliere “Milano anni 60”, sottotitolo “Storia di un decennio irripetibile”. Si tratta di una passeggiata senza soluzione di continuità in cui, tra una vetrina e l’altra di via Sant’Andrea e prima (o dopo, a seconda del freddo e del peso delle borse da shopping natalizio) il caffè con marrone candito da Cova, ci si ritrova a bocca aperta davanti alle foto in bianco e nero della Milano de “La vita agra” di Bianciardi (altro libro – e film di Carlo Lizzani con un Tognazzi super – da mettere in lista regali per il milanese doc). In mostra ci sono le istantanee del boom, edilizio e viabilistico, che portarono a Milano la Torre Velasca, il Pirellone e la linea Rossa; gli oggetti leccati e laccati dei designer che a Milano han fatto fortuna e che oggi ritroviamo a prezzi da oligarchi in collezioni private esposte nelle gallerie del centro o alla Triennale; i momenti immortalati, per fortuna perché sono stati dimenticati dai più, in cui la città era capitale del jazz e del cabaret, omaggiata dai concerti di Ella Fitzgerald mentre Jannacci, Cochi, i Gufi e gli altri moltiplicavano le serate tra il Derby e L’Oca d’oro (in cui il “lampo” negli occhi di Piero Manzoni vendeva alle signore, per diecimila lire, il diploma firmato di “culo artistico”: pensate che regalo di Natale raffinatissimo sarebbe oggi).
Tornati a casa dopo questo bagno nella Milano di mezzo secolo fa, con le note di Franco Nebbia (le sue dita da piano bar incantavano la città che si muoveva ventiquattro ore su ventiquattro: alle sei era già in pista ma non rinunciava alle serate al Nebbia Club) che girano in testa, ci si siede sul divano mentre forse fuori nevica e si apre a pagina 32 un libro che, se vi è sfuggito negli scorsi mesi, va ordinato subito: “Semplice, buttato via, moderno” è il titolo, l’editore si chiama Viella e se il libro c’è possiamo dire grazie a Enrica Tedeschi, figlia maggiore di Gianrico, che ha raccolto le sue memorie. Quel Gianrico Tedeschi attore che a marzo 2020 compirà cento anni, Milano ce l’ha tutta nella testa e nel cuore e in certi momenti è più milanese lui del risotto di Marchesi.
A pagina 32 il Tedeschi a noi milanesi ci fa sentire fichissimi (che ce n’è sempre bisogno), mentre ci descrive com’eravamo prima del boom, prima di tutti: “Milano è sempre stata all’avanguardia – dice con il tipico orgoglio milanese – Nutriva, e nutre, un grandissimo amore per il teatro. Stiamo parlando di un periodo in cui non esisteva la televisione e il cinema era quello di Charlot… In pratica, c’erano solo il teatro e l’opera. Milano aveva dieci, dodici, quindici teatri, aperti tutte le sere, tutto l’anno. E in questi teatri ho potuto vedere di tutto… Perfino i De Filippo – Eduardo, Titina e Peppino – hanno iniziato la carriera a Milano. Prima, non avevano rilevanza nazionale. E così è stato per tutti. A quei tempi, diventavano famosi solo quelli bravi, quelli che erano passati alla prova del pubblico milanese”. E così via: Gianrico Tedeschi racconta che a Milano è Natale tutto l’anno e che da quasi un secolo certi sogni si sono potuti concretizzare solo qui, magari dopo aver cambiato look con un taglio alla Vergottini. La città giusta per elaborare i propositi per il nuovo anno, per portarsi fortuna da soli, insomma. E ricordare, come fa Franca Valeri nel libro della Tedeschi, che – mentre già si progetta il Capodanno dall’altra parte del mondo – “Non è poco avere Milano in comune”.