Là dove prega Matteo: “Quando arriva Salvini, è come vedere Belen”
Qui in città quando ci si avvicina alle chiese diventa palpabile che il nome di Salvini è divisivo, fonte di simpatia ma anche di malcelato imbarazzo
È nella chiesa dove ogni tanto si fa vedere Matteo Salvini che si può osservare la dimensione più folkloristica, o semplicemente pop, del catto-leghismo: il rapporto non esattamente mistico che unisce Matteo Salvini, cultore del Cuore Immacolato e agitatore di rosari, e la sua base socio-elettorale. C’entra qualcosa, il luogo, con l’istituto di suore dove va a scuola la figlia del leader della Lega, non è un segreto, ma il luogo e il nome non lo faremo, noi non suoniamo ai citofoni e soprattutto: tenere i bambini fuori dalla portata della politica. Il pop esplode, come una illuminazione celeste, all’uscita della scuola. Là dove ci sono alcune mamme in attesa delle proprie figlie. Chiedi, e loro esclamano, ridendo: “Quando arriva Matteo Salvini, è come vedere Belen”. Manco fosse una starlette come la showgirl e non un politico che nei suoi comizi parla di vangelo e di cristiana identità. Ohibò.
Nella cappella dell’istituto sono i sacerdoti maschi che ogni mattina celebrano la messa. Quando parlano e quando predicano, si ispirano ai principi educativi di ragione, religione, amorevolezza. L’atmosfera che si respira nella parrocchia distante qualche centinaio di metri o all’ingresso della scuola sono simili. Il grande punto interrogativo sul catto-leghismo, con le sue ragioni poco spirituali e molto populiste, rappresentano una fonte di imbarazzo. Il parroco durante la messa spiega ai parrocchiani che non è cosa buona e giusta fare una lettura fai-da-te dei Vangeli condizionata da un’interpretazione psicologica e chiede ai fedeli di considerare il contesto storico in cui sono stati scritti per diffondere la parola di Gesù. Prende come esempio negativo i Testimoni di Geova ma il bersaglio è un altro. Ossia l’interpretazione soggettiva delle Sacre scritture che permette ai fedeli che strizzano l’occhio a certe idee di non interrogarsi sulla propria coerenza spirituale. In parrocchia, una signora anziana e gentile scuote la testa: “Purtroppo anche qui, sono in tanti a simpatizzare per Salvini”. Uno dei sacerdoti ci invita invece a ragionare su una riflessione di Papa Francesco che ha detto : “Non stiamo vivendo un’epoca di cambiamenti, bensì un cambiamento d’epoca”. E chissà se il don si riferisce all’incapacità di comprendere la complessità del terzo millennio, ai travagli interni alla chiesa o solo alla simpatia crescente fra i credenti per il populismo, chissà. Più semplice capire ciò che vediamo: uno straniero si aggira per i banchi della parrocchia per chiedere l’elemosina viene guardato con diffidenza e un po' di fastidio. “Gli anziani vedono gli immigrati errabondi nei pressi della stazione centrale e percepiscono una sensazione di precarietà se non di paura”, sottolinea il parroco. Insomma la solita storia del se ho paura voto Salvini.
Dall’altra parte della strada invece, all’uscita dalla scuola, si percepisce maggiormente come la figura del Capitano sia apprezzata, ma allo stesso tempo divisiva. Le mamme, le nonne, i padri, arrivati nel pomeriggio di un lunedì invernale e uggioso sono recalcitranti ad esprimersi sull’uso della religione da parte di Matteo Salvini. Alcune madri, infastidite, preferiscono sottrarsi a domande sul rapporto del Capitano con la fede. Altre si espongono per dire poche frasi, a denti stretti. E si va da “la fede è una dimensione intima” a “chi siamo noi per giudicare” al “se non fosse credente perché avrebbe portato sua figlia in una scuola cattolica?" Fino alla contrarietà espressa in modo esasperato: “Salvini strumentalizza la fede per raccogliere consensi, per un credente non è accettabile, si fa un peccato solo ad ascoltarlo”, reagisce la signora Stefania, in attesa delle nipoti. Una giovane madre invece afferma : “Io porto mia figlia in questa scuola perché offre un’ottima istruzione e perché sono credente. Salvini ha ragione a sollevare la questione dell’accoglienza che non può essere garantita a tutti se lo stato non è in grado di integrarli con dignità. Forse lui esprime questo concetto in modo eccessivamente radicale, ma pone una questione condivisibile”. Molti genitori ammettono di avere simpatia per quel padre molto presente e che anche quando era ministro teneva un profilo basso, senza mai far pesare il proprio ruolo. Qualcuna sorride e racconta che alle recite della scuola c’è la solita fila per il selfie. La signora Cristina invece riflette: “Ma cosa possiamo pretendere se negli oratori la mancanza di disciplina viene tollerata e alla catechesi di mia figlia ho dovuto portare io il messalino per le letture? Cosa ci possiamo aspettare se i Vangeli vengono spiegati solo attraverso le parabole?” Ma poi alla fine la dimensione folclorista del catto-leghismo prevale: “Per noi vedere Salvini a scuola è come vedere Belen” è una frase che asfalta ogni volontà di discernimento. E allora lo sforzo accogliente e basato sul messaggio dei Vangeli va a farsi benedire (è il caso di dire) perché il rosario ostentato, la presenza in chiesa, la difesa ostentata della religione fa premio su tutto il resto. Attraverso il moltiplicatore potente della insicurezza sociale. È lo schema che convince molti seguaci nelle parrocchie, qui a Milano, la città del leader della Lega, ma le elezioni di domenica in Emilia-Romagna misureranno anche quanto il fenomeno sia nazionale. Intanto qui in città, non in una periferia disagiata ma in una di quelle zone miste dove viviamo, lavoriamo, andiamo a scuola e facciamo la spesa tutti, quando ci si avvicina alle chiese diventa palpabile che il nome di Salvini è divisivo, fonte di simpatia ma anche di malcelato imbarazzo. Anche fra i genitori credenti che ammettono di simpatizzare per la destra, ma quale non si sa. (fine. le precedenti puntate sono state pubblicate il 15 dicembre, il 22 dicembre e il 12 gennaio)