(foto LaPresse)

Dio delle città. I preti sono gli “uomini soli” della pandemia? Anche no

Cristina Giudici

Se sono molte le persone che in questa solitudine tornano a cercare di nuovo il conforto della fede, sono scomparsi (fisicamente) i fratelli, i parrocchiani, gli animatori degli oratori. Tranne che in qualche video-call

Della loro solitudine ha parlato persino Papa Francesco molto prima dell’arrivo del virus, quando molti sacerdoti ammettevano di sentirsi stremati dalla fatica: “E’ bene che essi ricordino che la gente ama i suoi pastori, ne ha bisogno e confida in loro”, aveva detto Bergoglio. E ora che le messe vengono celebrate davanti a banchi vuoti e i funerali se va bene coi pochi parenti, tutti a distanza, e anche i cappellani devono stare a distanza nei reparti (non è vero: molti si sono ammalati per star vicino ai pazienti-fedeli) i preti sono ancora più uomini soli, come cantavano i Pooh? Davanti alla pandemia, sono uomini soli fra uomini altrettanto soli che invocano il Dio delle città e dell’immensità? Se sono molte le persone che in questa solitudine tornano a cercare di nuovo il conforto della fede, paradossalmente sono scomparsi (fisicamente) i fratelli, i parrocchiani, gli animatori degli oratori. Tranne che in qualche video-call. Come si sentono insomma i preti, altra categoria in prima linea ma appiedata della pandemia? “Non mi fermo mai, da solo devo celebrare messe e fare esercizi spirituali; recitare novene e rosari. Prima di sera devo fare editing dei video e metterli online perché la mia comunità mi attende”, ci ha raccontato don Alberto Vitali, responsabile della Pastorale dei migranti della diocesi ambrosiana nel cuore di Milano, dietro la chiesa di Santo Stefano, di cui è parroco e dove prima arrivavano ogni domenica 800 fedeli di origine latinoamericana. “Prima dell’epidemia, attendevo con gioia quel momento di pace serale in cui, chiusa la chiesa, restavo nella cappella da solo con Dio. Invece qualche giorno fa, davanti ai banchi vuoti mi sono rivolto a Gesù sulla croce e gli ho detto ‘E ora che siamo rimasti solo io e te, cosa facciamo?’”.

 

Sorride, quando vede ancora qualche coppia entrare furtivamente in chiesa, tenendosi per mano. “Dopo tre settimane di quarantena, ho detto a Gesù che questa chiesa era troppo grande per me che leggo il Vangelo in diretta Facebook e controllo i cuoricini sullo schermo per vedere se va tutto bene. Insomma, me le canto, me le suono e me le registro da solo (le omelie)”, sdrammatizza. “Siamo passati dal digiuno quaresimale al digiuno del popolo di Dio, anche se dormo tre ore al giorno perché finite le dirette devo rispondere a tantissimi messaggi. Poi devo anche rassicurare quelli che non avendo un permesso di soggiorno hanno paura persino ad andare a fare la spesa, figuriamoci all’ospedale. Sono solo sì, ma fuori c’è un’intera comunità che si affida a me”. Un po’ diversa la percezione di monsignor Davide Milani, da due anni prevosto a Lecco dopo essere stato a lungo responsabile dell’ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Milano: “Io vivo in diretta televisiva per stare a fianco della comunità e non sento alcuna solitudine, anzi. Certo, non vedo più persone che mi vengono incontro per le strade, ma sento la città che respira, che attende nel dolore un messaggio di speranza e di rinascita. Quando celebriamo la messa a mezzogiorno, suono la campana più volte per farli partecipare fino all’ultimo suono della benedizione. Ormai vivo negli studi delle televisioni locali per trasmettere la lettura del Vangelo, gli esercizi spirituali. Vivo in diretta streaming per loro e ho fatto anche una preghiera davanti alla statua del patrono della città, san Nicolò, con tremila persone collegate. E’ un dialogo continuo, distante fisicamente, con l’intera comunità dei credenti unita dall’emergenza. Più che solo, mi sento talvolta inutile perché non posso stare accanto ai malati negli ospedali, senza poter benedire chi ci lascia. Non mi sento affatto solo, anzi anche quando esco dalla chiesa vuota, mi guardo indietro, sospiro e penso alla grande prova che dobbiamo superare”. Tanti sacerdoti ci hanno raccontato che alla notte dormono poco e male perché portare avanti il loro ministero in questa emergenza in una continua diretta social è sfiancante. Qualcuno ci ha detto che poi, una volta finita la quarantena, bisognerà fare i conti con la depressione spirituale di tanti sacerdoti perché celebrare messe in chiese vuote è un compito immane. o forse avevano ragione i Pooh quando cantavano nella loro memorabile “Uomini soli”, che oggi suona un po’ profetica: “Dio delle città e dell’immensità / Se è vero che ci sei e hai viaggiato più di noi / Vediamo se si può imparare questa vita / E magari un po’ cambiarla prima che ci cambi lei”.