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Riaprire in salute. I piani della Lombardia

Daniele Bonecchi

La regione progetta la sua fase 2 con un comitatone. Ma per ora né date né certezze

Tutti a caccia della fase 2. Quella dell’economia. Ma siamo pronti a ripartire? E seguendo la riflessione logica di Enrico Bucci, invece di arrovellarci sul quando, “come” vogliamo uscire dal lockdown? La Lombardia, che è “osservato speciale”, ora si appresta ad affrontare la sua fase 2 e ha chiesto, ieri, al governo di poter riaprire il 4 maggio.

  

Nei giorni scorsi è stato costituito un Comitato di esperti, coordinato dal vicepresidente della Regione Fabrizio Sala, composto dai Rettori della Cattolica, del Politecnico, della Statale, della Bicocca, della Bocconi, dal presidente del Comitato regionale di Coordinamento delle Università di Lombardia. Il Comitato avrà il compito di fornire al “Tavolo per lo sviluppo” – attorno al quale siedono tutti i rappresentanti delle categorie sociali e produttive – un progetto che, nell’analizzare temi economici, sociosanitari, scientifici e culturali, fornisca indicazioni per la ripartenza della Lombardia sul medio e lungo periodo. Sono coinvolti i capigruppo di maggioranza e opposizione in Consiglio regionale. Ma i professori (come gli scienziati) non sono un talismano per esorcizzare il virus: il loro sapere va “usato” e servono scelte della politica coerenti.

 

La pensa così anche Carlo Signorelli, professore ordinario di Igiene e Sanità pubblica all’Università Vita-Salute San Raffaele: “Le decisioni naturalmente spettano alla politica. Noi (ricercatori) possiamo fare considerazioni di natura scientifica. Si tratta di bilanciare due rischi: quello sanitario e quello socio economico. Io posso riferirmi alla tutela sanitaria. Si potrebbe anche dire andiamo avanti così per tenere i rischi sanitari al minimo”. Ma la pressione del mondo imprenditoriale lombardo, corroborato dai dati catastrofici sul pil e la crescita spingono a riaprire. Col professor Signorelli facciamo una ricognizione per comprendere qual è la direzione che può prendere il post Covid. “Differenziare gli orari è giusto – spiega – ed è per questo che una maggiore flessibilità dei negozi è giusta, così com’era sbagliato comprimerli, favorendo di fatto l’affollamento. Turni diversi vanno bene, l’importante è che il distanziamento fisico (non è giusto chiamarlo distanziamento sociale) venga rispettato”.

 

“Dobbiamo lavorare sugli ambiti in predicato d’apertura. A basso rischio metterei gli ambienti esterni, perché le trasmissioni del virus, in larga parte, interessano gli ambienti confinati. Tutto ciò che è all’esterno va collocato a un livello di rischio più basso. E’ chiaro che anche all’aria aperta va evitata l’aggregazione. Dove le aggregazioni non possono essere ridotte la mascherina è d’aiuto per limitare i rischi. Questo vale per gli ambienti di lavoro, le aree ludiche, i mezzi pubblici, naturalmente”. Un altro ambito da organizzare è quello delle categorie a rischio. “Sappiamo che i più esposti sono gli anziani, portatori di malattie croniche. La mortalità si concentra qui, quindi bisogna evitare che queste persone abbiano contatti, per un periodo ancora lungo”.

 

In questi giorni si è aperta una gara tra amministrazioni locali per favorire i test sierologici, “i test sugli anticorpi, in linea teorica, potrebbero funzionare bene, ma nella pratica temo che siano complicati da utilizzare su larga scala”, chiarisce Signorelli. “Primo perché non sono ancora validati, poi non è detto che siano sempre efficaci. Dobbiamo comunque una quota di test con risultato non veritiero, poi dovremmo farne milioni, tecnicamente è difficile. Il ‘patentino’ crea l’illusione di poter regolare meglio le cose ma non è detto che sia così, non è qui che si fonda la ripartenza. Sarà necessario fare grande attenzione agli ambiti sanitari e socio assistenziali, dove la malattia si è diffusa, anche perché ci sono molti anziani. Attenzione anche alle abitazioni dove gli infetti isolati vivono assieme all’altra gente e spesso sono lasciati da soli. Si calcola che siano 60-70 mila in Italia”.

  

La Lombardia ha il numero maggiore di decessi ed è salita sul banco degli imputati la sanità regionale. “Al San Raffaele stiamo concludendo uno studio epidemiologico, confrontando mortalità e non letalità, per dare una chiave di lettura più oggettiva e chiara. Abbiamo confrontato sei aree metropolitane vaste, colpite in modo pesante dall’epidemia e in questi ambiti abbiamo messo a confronto la mortalità nei primi 30 giorni dell’epidemia a New York, all’Ile-de-France (Parigi), alla grande Londra, alla comunità autonoma di Madrid, alla provincia autonoma di Bruxelles e poi alla Lombardia. Dai dati emerge che la nostra regione si colloca sotto la media, vanno peggio Madrid, New York, Bruxelles. Leggermente meglio, Londra e Parigi”, conclude Signorelli. Nel frattempo la Regione ha chiesto al governo di dare il via libera alle attività produttive nel rispetto delle “Quattro D”: Distanza, Dispositivi, Digitalizzazione (obbligo di smart working per determinate attività) e Diagnosi (dal 21 aprile iniziano i test sierologici con il San Matteo di Pavia). Tutto questo accompagnato da un piano per riaprire in orario scaglionato uffici e aziende e, dopo, scuole e università. Aperture delle attività sull’arco di tutta la settimana per evitare il sovraffollamento dei mezzi pubblici. “E’ la via lombarda alla libertà” dice il presidente Fontana: la sobrietà evidentemente non è la cifra dell’amministrazione regionale ai tempi di Covid-19.

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