Non avrai il mio shampoo
Le belle sciure sanno come cavarsela, ma la guerra (dei poveri) tra parrucchieri sarà un disastro
Ma le meches? “Chi me le fa le meches?”, dice la sciura milanese con la testa a strisce e l’immonda ricrescita. Finché si tratta della tinta, si compra pure al supermercato (e comunque è già un’impresa farsela da sé) ma se i trattamenti sono più complicati, ahimè, il lavoro del parrucchiere è d’obbligo. E allora? Parrucchiere a casa come il cibo da asporto? Eh no, se non per motivi eccezionali, tipo persona inferma che non può uscire di casa o per la moda (e anche non sempre) e il professionista deve essere titolare di una licenza. Il Regolamento locale d’igiene comunale milanese parla chiaro e “vieta l’attività di barbiere, acconciatore, parrucchiere, estetista, tatuatore e piercing al domicilio del cliente o in forma ambulante”, per combattere il nero e l’abusivismo. Ma la Milano che lavora sottobanco e segretamente c’è eccome, alla faccia di regole e divieti, di aperture non concesse e chiusure tout-court. I parrucchieri si scatenano e s’incatenano (per protesta), pronti a ripartire con tutte le protezioni del caso, dalle postazioni tutelate dal plexiglas, alle mascherine, guanti, spazzole sterilizzate e tutto quanto possa dare sicurezza. Ma non basta. Il fatidico primo giugno – un lunedì, notorio giorno di chiusura settimanale dei parrucchieri, quasi una farsa e ironie a schiovere – dovrebbe esserci il liberi tutti.
Nel frattempo, per cercare di contrastare la disperazione, si lavora a chiamata. Lo confermano certe lady milanesi che guai a essere citate (hanno provato pure con i tutorial su Instagram, con un pessimo risultato) ma tant’è non potrebbero vivere con la testa in disordine. “Non è il nostro caso – afferma convinta Federica Coppola, terza generazione del famoso salone nato oltre cinquant’anni fa grazie al nonno Aldo e che oggi, solo a Milano, conta dieci negozi a gestione diretta – non facciamo lavori a domicilio. Ci aspettavamo invece l’apertura come i commercianti: se una persona va in un negozio a provarsi una maglietta non capisco perché, con le dovute precauzioni, non possiamo servire anche noi le clienti. Ci eravamo mossi da tempo con doppie mascherine e a Lugano, dove siamo già operativi, stiamo lavorando in grande sicurezza. Per noi la sanificazione completa c’era prima e quindi la nostra vita sarebbe cambiata ben poco ma aspettavamo delle direttive dal governo che non sono arrivate. La notizia di riapertura al primo giugno ha buttato tutti a terra. Questo va a incentivare il mercato nero che c’è dietro il settore in un momento in cui si fa fatica ad arrivare a fine mese, è ovvio che si approfitta di chi ti cerca, di chi ti promette dai 15 ai cento euro perché tutte vogliono sistemarsi i capelli. Dicono di andare a trovare la nonna e il gioco è fatto. Speriamo si possa ritrattare. A Lugano siamo pieni per tutta la settimana, le clienti hanno il loro sanificatore e mascherina monouso, i ragazzi lavorano a debita distanza, coperti a loro volta. La lamentela di tutti è il non avere notizie certe. Così come l’incertezza è tra governo e banche. Se la legge ci aiutasse nessuno la infrangerebbe”.
Milano conta la bellezza di oltre cinquemila tra acconciatori ed estetisti e i cinesi, che proprio in questi settori spopolano, rappresentano un 10-15 per cento del numero totale. Su oltre diecimila imprese individuali cinesi in Lombardia, il 13 per cento sono parrucchieri (con un +63 per cento in cinque anni come da dati del registro delle imprese). “La decisione di aprire il primo giugno ci sembra irragionevole – spiega Marco Accornero, segretario generale dell’Unione Artigiani di Milano e di Monza-Brianza – La parte estetica è già abituata a operare in sicurezza in quanto già prima del Covid usavano mascherine, cabine singole e separate per motivi di privacy e la distanza era assicurata. E i parrucchieri, pur di lavorare, sono disposti ad accettare qualsiasi forma di sicurezza pur di iniziare a lavorare: su appuntamento, visiera come gli infermieri e tutto quanto viene deciso. Con tutte queste precauzioni riteniamo non sia un’attività più rischiosa di altre. Con i dovuti protocolli si abbassa il rischio a un livello socialmente accettabile. In Germania e in Svizzera gli acconciatori ed estetisti sono aperti”. E si sta creando un mercato sommerso. “Certo, perché tante signore hanno i numeri di cellulare o scrivono sui social chiamando direttamente gli artigiani, e più facilmente il dipendente magari in cassa integrazione, per il servizio a domicilio. Oltre a essere abusivo e illegale in casa non si tiene nessun protocollo di sicurezza, al massimo la mascherina l’operatore e la cliente ad andar bene. Quindi quando c’è un divieto, spesso la toppa è peggio del buco. Nel mercato illegale non ci sono più regole”.
C’è il pericolo che tanti negozi non riaprano. “Tecnicamente il primo giugno riaprono tutti ma bisognerà vedere chi arriverà e resisterà fino al 31 dicembre. I mancati guadagni di tre mesi e oltre non torneranno mai indietro mentre le spese hanno continuato a gravare. Si libereranno di qualche dipendente perché ci saranno meno entrate ma per tanti non sarà sufficiente. Per chi ha margini bassi potrebbe essere il colpo di grazia. Milano, prima del virus, si stava riorientando verso la qualità rispetto al prezzo, ma ora sarà facile tornare indietro. La signora che prima poteva permettersi certi servizi magari tornerà dai cinesi low cost. Lo scopriremo più avanti con il crollo dei consumi”.