(foto LaPresse)

Amare Milano, sì

Paola Bulbarelli

Ripartire dal Dna giusto. Le idee di Daniela Mainini, presidente del Centro studi Grande Milano

Accoglienza, amicizia, competenza, coraggio, intraprendenza, passione passando per la tradizione, l’economia etica e la fiducia. Il Centro Studi Grande Milano si racconta attraverso 28 parole, la Carta dei Valori dell’associazione che sta per spegnere venti candeline e 500 eventi al suo attivo. In un momento in cui servirà molto di tutto questo. “Una carta dei valori, perché dopo tanti anni, abbiamo una storia da raccontare: la nostra”, dicono i 1.500 soci, le 63 “Grandi Guglie” (personalità che hanno valorizzato il tessuto economico, scientifico, sociale, culturale dell’area metropolitana milanese), i 18 ambasciatori della Grande Milano, tutti gli ex sindaci della città che di diritto fanno parte del centro studi nonché il Comitato scientifico e il Comitato direttivo di un’associazione “erede diretto di quella stagione dei grandi circoli culturali milanesi”, come l’ha definita Sergio Scalpelli, uno dei vicepresidenti. 

 

“Riavvolgendo il nastro e guardando la Milano di vent’anni fa non possiamo che dire che era molto diversa – racconta al Foglio Daniela Mainini, presidente dal 2004 del Centro Studi Grande Milano – Con il Titolo V del 2001 nasce l’area metropolitana, quindi, una Milano più grande. Secondo la nostra visione la Milano ‘del centro’ era una realtà che non poteva competere con le altre aree internazionali“. In più, “Mani pulite aveva spazzato via una classe politica e dirigente e quella che era la realtà milanese liberal cattolica e riformista un insieme di culture che non si incontrava più, i circoli culturali azzerati anche da un certo tipo di magistratura”. “Allora eravamo 19 fondatori, guardavamo una Milano spenta. Abbiamo fatto incontrare le imprese con la politica e le istituzioni. Fino a creare il punto forte, il Centro Studi anticontraffazione, che si occupa di proteggere la proprietà intellettuale, il made in Italy”.

 

Il credo, di cui c’è bisogno eccome oggi, è promuovere e divulgare idee e valori di una Milano più grande, autorevole e confrontabile con le altre realtà metropolitane internazionali. “Le imprese di Milano vivevano con le maniche rimboccate, a fare i dané, mai con i man in man, tutto molto milanese. Però hanno anche un grande cuore pulsante. Se al milanese e alle imprese milanesi fai fare del bene e valuti che i loro progetti hanno un risvolto solidaristico, l’imprenditore è molto generoso. Pensa all’esperienza del cavalier Pellegrini, nostro ambasciatore, dopo cinquant’anni della sua attività crea Ruben, un ristorante solidale per chi non ha un pasto. E ci sono piccole e anche piccolissime realtà generosissime con il proprio territorio. C’è una sorta di grande orgoglio meneghino, la storia di chi ha fatto anche indipendentemente dalla politica. Questo è il motivo della grande attenzione Ai sindaci perché ognuno, anche con idee diverse, ha dato molto. Carlo Tognoli ha donato il marchio Amare Milano al Centro studi, che è il comune denominatore di questa associazione”.

 

Ora bisogna fare i conti con quel che è accaduto e con la cosiddetta fase 2. “La pandemia ha colto un’Italia che non era in pole position economica. Mentre colpisce una Milano che era una delle città più invidiate e ambite. Milano suscita invidia perché è una città troppo vincente. Nonostante tutto quello che sta accadendo. Ma storicamente ha sempre saputo risorgere. Il sindaco Greppi, allievo di Turati, creò già nel 1946 dei comitati della penicillina e della streptomicina. Oggi serve una ricostruzione psicologica e economica. E poi la fine della pandemia lascerà dei vasti strati di popolazione fortemente impoverita. La fase due  del ritorno di Milano deve passare attraverso la valutazione della Sanità che deve dare servizi sul territorio, adeguate gestioni ordinarie e straordinarie senza dimenticare gli atti di vero eroismo di chi ha combattuto a mani nude il nemico. Non dobbiamo dimenticare, non possiamo esser ingrati. E poi un nuovo piano strategico dei trasporti che non guardi solo al ripensamento e potenziamento delle ciclabili, ma alle centinaia di migliaia di lavoratori che giornalmente viene a Milano dall’hinterland con i mezzi pubblici. Lo smart working ha dato una buona prova di sé grazie alle reti di nuova generazione però occorre trasferire strutture orizzontali e verticali nelle zone periferiche regionali per una facile connessione digitale”.

 

E non finisce lì. “L’intangibile trattenuto nelle università del sapere deve essere travasato nelle piccole e medie imprese in un piano dell’innovazione che possa fare quel salto tecnologico necessario. Continuiamo a dire che andrà tutto bene. Io lo credo”. Come ripartire? “Dobbiamo  essere umili, partire dagli sbagli quali la scarsa attenzione all’ambiente, l’eccitazione delle fortune immobiliari, cercare di avere un mondo più sostenibile. Trarre una lezione prospettica. Anche scandire un ritmo diverso può non essere negativo. Ci siamo riempiti la bocca del termina contaminazione e oggi è qualcosa di negativo, contagio. Le scienze della vita segneranno il nostro futuro però una Milano più sostenibile e femminista è quello di cui abbiamo bisogno. Lo smart working  non aiuterà le donne. Bisogna stare attenti a questo”. Intanto il centro studi sta scrivendo a più mani il libro “Amare Milano al tempo di Covid”, raccogliendo le testimonianze di questo periodo. Tutti i nostri progetti 2020 sono stati spostati al 2021. Il 23 novembre dovremmo nominare i nuovi ambasciatori. Chissà, vedremo come sarà la situazione. Unica certezza, la nomina di Letizia Moratti. Degli altri, ne riparleremo”. 

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