(foto d'archivio LaPresse)

“A prescindere”. Riaprire è un bagno di sangue, ma i grandi lo fanno

Fabiana Giacomotti

Riaprono teatri, grandi alberghi, boutique e strutture ricreative perché sipari, hall, persiane e serrande ancora chiuse darebbero un segnale pessimo. “Di certo, sarà un anno difficile”

Ripartire a prescindere. Milano e la Lombardia riaprono teatri, grandi alberghi, boutique, strutture ricreative, anche se ben consapevoli del bagno di sangue che li aspetta. Aprono perché sipari, hall, persiane e serrande ancora chiuse darebbero un segnale pessimo agli italiani e agli stranieri. Aprono a prescindere dalle limitazioni agli spostamenti extra Ue, dalla cassa integrazione che quasi tutti sono costretti ad anticipare. Aprono perché “non bastano gli stipendi: anche il morale dei dipendenti va tenuto alto e a casa non reggevano più”, come dice il proprietario del gruppo Villa d’Este, l’industriale della meccanica Giuseppe Fontana, figlio di Loris, il “re dei bulloni” come veniva definito dai rotocalchi degli anni Settanta. Per questo, e pur rispettando le disposizioni, lo scorso sabato Fontana ha voluto a tutti i costi che si tenesse la nona edizione del raduno Villa d’Este Style, che ha raccolto i proprietari delle Alfa Romeo SS Coupé Villa d’Este, leggendario modello del 1949 : solo sei, fra cui lui stesso, oltre a qualche altro appassionato di auto d’epoca coeve. Colazione servita su grandi tavoli da otto in area grill (“non dite a George Clooney che ha riaperto”), nessuna voglia di rivelare il tasso di occupancy previsto da qui a fine agosto: “Ci sono segnali incoraggianti, per esempio l’arrivo di giovani coppie italiane che fino a oggi non frequentavano l’albergo”, dice Fontana, conscio, come altri grandi alberghi italiani di tradizione, dal Gritti di Venezia al Byron di Forte dei Marmi, che per i prossimi sei mesi si potrà giocare quasi esclusivamente la carta del turismo di prossimità: “Di certo, sarà un anno difficile”.

 

Per il Teatro alla Scala, il redde rationem arriverà nel 2021 a causa del rinnovo automatico degli abbonamenti saltati quest’anno: un incasso per due stagioni, i budget delle nuove produzioni da rivedere. Ma si apre, per un mini-programma di concerti, dal 9 al 15 luglio, con quattro concerti di alto profilo e decisa valorizzazione di nuovi talenti, compresa la giovane pianista Beatrice Rana che qualche settimana dopo inaugurerà le Settimane Musicali di Stresa (dove invece i proprietari degli alberghi hanno preferito non rischiare un euro e tenere tutto chiuso, offrendo uno spettacolo desolante a chi si imbarca per le Isole Borromee). “Pensi se i contagi toccassero lo zero e non avessimo nulla da offrire” dice Paolo Besana, direttore della comunicazione del Teatro alla Scala, toccando nel modo più immediato il punto focale della rinascita milanese post o infra-Covid, e cioè il ruolo fondamentale che il Teatro vi svolge.

 

Ce lo faceva notare l’altro giorno anche una storica di Roma: con la Scala chiusa, Milano non può ripartire. Simbolicamente di certo, e un po’ anche nella realtà. Lo si vide già in quel fatidico 11 maggio del 1946, quando Toscanini diresse il concerto di apertura nel gran teatro restaurato in fretta con il contributo degli stessi milanesi che non di rado vivevano ancora fra le macerie dei bombardamenti. La ripartenza iniziò da quella folla assiepata nella piazza per ascoltare l’ouverture della Gazza Ladra e il Va’ Pensiero. Il nuovo sovrintendente Dominique Meyer si limita a osservare come sia “il momento di tornare ad ascoltare musica dal vivo” e a rallegrarsi per le nuove disposizioni che permettono di far sedere in sala seicento persone (solo congiunti o singoli nei palchi) quando nella Staatsoper di Vienna che ha appena lasciato in via permanente “abbiamo potuto organizzare concerti per sole cento persone”. Confermata anche l’esecuzione del Requiem di Verdi in Duomo il 3 settembre (ma come, niente chiesa di san Marco dove si tenne la prima esecuzione e dove l’acustica è migliore? No, perché dev’essere un evento popolare) e l’esecuzione della Nona di Beethoven il 5 in teatro. L’idea sottesa, il pensiero costante, restano i prezzi: questa potrebbe essere l’occasione ideale per portare alla Scala chi non c’è mai andato né si è mai preso la briga di verificare quanto possano essere abbordabili i biglietti, talvolta. Ma una nuova politica di prezzi porterebbe l’idealismo dell’“a prescindere” davvero molto oltre la sostenibilità. Per ora si parte con i concerti a meno di 50 euro. Poi, si vedrà.

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