Chi si gioca il sindaco a Milano
Le selezioni misteriose del centrodestra e gli sfidanti virtuali di Sala. Sta peggio la sinistra
Il Comune di Milano che mette all’asta in lotti separati un po’ dei suoi immobili, notizia fresca, è un’immagine che coglie bene il mood neo-depresso della città e della su politica, che prepara la sfida per Palazzo Marino e al momento ha più dubbi che certezze. Esattamente come il primo cittadino, Beppe Sala, che vuole ancora rimuginarci su. Ma a Milano la ricerca del (candidato) sindaco è faccenda che ha le sue regole e i suoi modi consolidati. In cui le burrasche della politica-politica, quella dei Palazzi, influiscono sì e no. Fino ad oggi i cittadini di Milano hanno scelto sempre i propri sindaci dal “popolo grasso”, che a queste latitudini ha caratteristiche tutte sue: grandi lavoratori, innovatori ma non spericolati, e senza stima per le rendite di posizione. Da questo punto di vista, dai tempi di Formentini in poi, i candidati sono arrivati tutti da ceti esterni ai partiti e interni alla società civile più profondamente meneghina, quella degli imprenditori e delle professioni.
Adesso c’è molta incertezza, e paradossalmente più a sinistra che a destra. Nella Lega infatti l’idea che pare essere passata (ma la Lega non comanda tutto il centrodestra, a Milano) è quella di selezionare un manager da far conoscere e che dunque non appartiene alla schiera dei personaggi pop. Qualcuno di valore, ma che non sia un militante di questo o quel partito di centrodestra. Il problema è come verrà scelto e con quali tempistiche. Che la mossa tocchi alla Lega è cosa certa. Ma che gli alleati debbano dire la loro rientra nelle regole del gioco. E visto che nel centrodestra non esistono le primarie – giusto o sbagliato, è il loro Dna – che avvenga ad Arcore o in via Bellerio una discussione dovrà pur essere fatta. Fratelli d’Italia pare stia tenendo il punto di una propria valorizzazione, ma il player vero è Forza Italia, che a Milano ha sempre contato molto e attualmente continua ad avere le percentuali migliori d’Italia. Berlusconi ha sempre detto la sua sul sindaco di Milano, e Salvini sa che prima di dare le carte occorrerà scegliere bene il mazzo.
Così nel centrodestra di nomi di fatto non ce ne sono, tranne il misterioso Mister X, un vecchio classico del Cavaliere cui ora fa ricorso anche Salvini. Nel centrosinistra invece ce ne sono troppi. Paradossalmente, visto che Beppe Sala al momento è il candidato di diritto. Ma ci si prepara, e mentre a destra il “problema” è solo il nome, a sinistra per tradizione dietro a ogni nome c’è una strategia, un’utopia. Sicuramente Pierfrancesco Majorino sarebbe della partita. Tutti hanno notato un attivismo inesausto sulla piazza di Milano dell’ex assessore al Welfare e oggi europarlamentare. Uno stile molto diverso dai suo colleghi europarlamentari, con attacchi continui alla Lega in Regione, incursioni con interviste sulla città del futuro, post a ripetizione in polemica con esponenti locali del Carroccio. Majorino sta anche costruendo la sua rete non solo di associazioni, che coinvolge periodicamente in manifestazioni di piazza (migranti, Covid, valori e diritti), ma anche e soprattutto mediatica, con giornalisti e testate. Insomma, si sta preparando nell’eventualità che Beppe decida di non esserci. Ma anche in caso di ricandidatura dell’ex Mr. Expo, il peso specifico di Majorino servirebbe a dare corpo a una sensibilità interna al Pd quando ci sarà da scegliere i candidati consiglieri comunali. In seconda fila nell’ipotetica griglia di partenza, c’è da capire che cosa faranno Pietro Bussolati, Pierfrancesco Maran, Lia Quartapelle & Co. Difficile pensare che lascino il campo libero e non giochino la partita più importante. Tutti parlano di Maran come possibile candidato alle primarie, sarebbe da un certo punto di vista la continuità con Sala, ma si vedrà se reggerà di più il tessuto connettivo con Bussolati e Quartapelle, oggi neo zingarettiani, oppure l’antico patto di non belligeranza con la sinistra-sinistra Majorino. Infine, Italia viva e i cespugli della sinistra. Questi ultimi potrebbero scegliere direttamente di stare fuori dalla partita delle primarie, e convergere in un sicuro secondo turno. Italia viva, invece, ha aperte entrambe le opzioni.
Fin qui, le ipotesi se Sala non si dovesse ricandidare. Viceversa le cose si fanno anche più complicate, perché tutte politiche, in caso di ricandidatura del sindaco. Fino ad oggi Sala ha coniugato prassi manageriale e immagine sempre più di radicalità sui diritti. La domanda che si fanno i riformisti è però come riuscirà a individuare una via nuova “in discontinuità con se stesso” (cit. Beppe Sala), senza andare in rotta di collisione con la sinistra à la Majorino o viceversa senza schiacciarsi su posizioni che spaventerebbero i moderati. E, parimenti, come potrebbe gestire la competizione con un candidato moderato del centrodestra. La volta scorsa, con Milano proiettata verso l’apice, con il curriculum da salvatore di Expo e con un Pd ai massimi del periodo Renzi, Stefano Parisi arrivò a una incollatura. Adesso la sfida sarà più tosta. E va programmata bene. Comunque vada, saranno elezioni contendibili.