Il barometro della crisi (anche da smart working) fatto con i ticket restaurant
Palermo (Edenred): “Dobbiamo ricominciare a ripopolare uffici e città. Se CityLife o Porta Nuova sono completamente vuoti è un problema grosso dal punto di vista economico”
Indispensabile durante i mesi dell’emergenza Covid, lo smart working ha un costo, soprattutto nelle grandi città. Il sindaco Beppe Sala lo ha ragionevolmente detto: “Torniamo al lavoro”, intendendo: torniamo al posto di lavoro, ed è stato da più parti criticato. Eppure le conseguenze di un cambio di passo non governato sono gravi. E verificate dai dati, pure. Luca Palermo è alla guida di un colosso multinazionale dei buoni pasto e del welfare aziendale, Edenred. “Dal nostro osservatorio possiamo vedere una tendenza assolutamente confermata dai dati – spiega al Foglio – Durante il lockdown ovviamente i buoni pasto sono andati tutti spesi nella grande distribuzione, oppure online. Abbiamo cercato di supportare quelli che hanno fatto il delivery. Ma la tendenza del post lockdown è preoccupante. Non tanto nei piccoli e medi centri urbani, ma nelle grandi città, dove insistono le grandi aziende e le pubbliche amministrazioni, lo smart working sta levando quote di mercato agli esercenti”.
Ci sono casi limite, come quello della zona intorno a via Pirelli. “Esercizi che avevano incassi tra il 50 e il 60 per cento da buoni pasto. Crollati”. Le parole di Sala acquistano più senso ancora. “In piena sicurezza, ma condivido il fatto che si debba tornare a occupare gli spazi dell’ufficio, in modo corretto e intelligente. Noi abbiamo lanciato una campagna apposta di restart per tornare in ufficio, con un terzo delle persone. Ci sono degli aspetti del lavoro fatto di persone che non sono replicabili nello smart working. Dobbiamo ricominciare a ripopolare uffici e città. Capisco il sindaco Sala che parla di economia della città. Se CityLife o Porta Nuova sono completamente vuoti è un problema grosso dal punto di vista economico. E non è un tema solo dell’imprenditore. I ristoranti hanno dipendenti che non percepiscono uno stipendio, fornitori che non vengono pagati, tutto l’indotto ne risente. Possiamo dire oggi che era forse sbagliato il modello solo ufficio, come è sbagliato il modello solo smart working”.
La politica che cosa dovrebbe fare? “Dovrebbe rendere più veloce il tempo che passa tra la decisione e l’execution. Adesso stiamo soffrendo, perché abbiamo bisogno di decisioni concrete. Dal punto di vista pratico esistono tutta una serie di strumenti che possono venire usati per potenziare i consumi. Vuol dire migliorare il potere d’acquisto delle persone. Per farlo uno dei modi è ridurre il cuneo fiscale. Il welfare aziendale si basa su questo. Il welfare aziendale è stato usato per servizi più ludici come welness, palestre, ma oggi eroga anche i servizi alle famiglie. Vi è un bel set di strumenti che può essere potenziato. E non pensiamo solo ai ristoranti. Quando Sala parla di effetti dello smart working parla anche dei trasporti. In Francia hanno lanciato il ticket per viaggiare. Si potrebbe fare anche da noi”. Con un occhio alla digitalizzazione. “Abbiamo potenziato la nostra app, che alcune amministrazioni hanno usato per erogare i 400 milioni di buoni spesa del governo“. Però il welfare aziendale è a rischio. “Molte aziende hanno investito o stanno investendo nel cercare di gestire questa fase di profondo cambiamento usando gli strumenti di welfare aziendale come elemento per connettere e legare di più le persone. Altre aziende invece stanno usando la crisi per fare politiche di cost saving aggressivo. Per dare qualche numero: il 40 per cento delle aziende ha continuato in lockdown a fornire buoni pasto, perché le persone che lavorano da casa comunque stanno lavorando, e l’impatto è sul reddito netto. Altre invece hanno pensato a ridurre le spese. Ma perdere i buoni pasto a volte per le famiglie vuol dire perdere 300 euro di reddito netto al mese”.