Una manifestazione contro Donald Trump a New York (foto LaPresse)

Transizione da Tiffany

Giuliano Ferrara

Domande sul destino dei reazionari di fronte al reality americano di chi ora bacia la pantofolona di Trump

Da un lato qui, imbarazzati e ammutoliti davanti alle tv cablo e alle news della sera, non si sa se ridere o se piangere. Nella faccenda del presidente eletto Trump c’è molto del circo e del reality, certo. Ted Cruz, che gli voleva stringere le mani alla gola, offeso per gli insulti alla sua signora e a suo padre accusato di essere complice dell’assassinio di JFK (post-verità? ma questa è elaborazione postmoderna di un vecchio termine: menzogna), ora gli bacia la pantofola e si rende disponibile come un delizioso cucciolo di cane. Per lui quello della Trump Tower era un puttaniere seriale e un bugiardo compulsivo, ora sarebbe irreprensibile datore di lavoro. Mitt Romney diceva che era pericoloso, una truffa letteralmente, un “con artist” pieno di fuffa e manipolazione self serving, e siamo di nuovo alla pantofola.

 

Il generale in pensione Flynn, con l’aiuto del caro Ledeen che a Roma in estate mi disse: la scelta è tra un pazzo e una corrotta, ma adesso canta la rivoluzione di The Donald, si appresta a governare il consiglio per la sicurezza nazionale, lui che è un caro amico di Erdogan, non quello che sposava il figlio con Berlusconi chierichetto e poteva essere scambiato per un dc, un Buttiglione turco in attesa dell’affiliazione all’Europa, quello piuttosto che si è preso la Turchia a colpi di bazooka e di arresti per farne non si sa bene che cosa, ma qualcosa di inquietante certamente, per usare un morbido eufemismo. Trump passa il tempo a seminare i giornalisti con svolta protocollare senza precedenti, a dare interviste melliflue e molto simpatiche, a smentire se stesso in parte e le notizie sulla transizione tutte, e cosí pensi che a Giuliani possa capitare qualunque incarico senza grandi problemi, tanto conviveva con una coppia gay e amava travestirsi da donna, anche lui del gruppazzo dei New York values, ma fa impressione che dopo la telefonata con Donald Vladimir ha ripreso a fare i compiti casa ad Aleppo.

 

Un assistente di Trump, subito scaricato ma in modo comico, dice che con gli islamici di casa, cittadinanza e tutto, bisogna fare come con i giapponesi durante la seconda guerra mondiale fece Roosevelt, campi di concentramento nella forma di una schedatura a rastrellamento, e ancora non abbiamo una strage in diretta di un jihadista ispirato dai ragazzi dello Stato islamico. E tira un’arietta di nepotismo e di potenziali conflitti di interessi fantastica, con il roscetto o arancione che si compiace di quanto poco interessi ai forgotten men la questione delle sue tasse segrete e dei suoi interessi di costruttore e finanziere. Si conferma che l’attore Alec Baldwin è il politologo in chief quando dice che, al confronto di Trump, Berlusconi è Adlai Stevenson, la testa d’uovo che sfidò Eisenhower, prese due voti due con i democratici, e si ricorda ancora come la seriosità impotente della sobrietà liberal incarnata. Mamma mia. Tutto quel traffico tra gli ori luccicanti della torre più pacchiana del mondo conosciuto, le passeggiate di Abe e del fantasma di Kissinger nell’antro del riccone, e il gioielliere Tiffany e il negozione Armani, lussuosi adiacenti alla Tower, ridotti in povertà natalizia dalle misure di sicurezza del magnate fattosi presidente sulla Quinta strada con traffico bloccato e circo dispiegato e tutto il resto.

 

Se l’America ha fatto il suo solito anticipo, che poi è anche un posticipo rispetto al campionato del casino nazionalista europeo, siamo in una bella situazione in Europa. Quel bollito stylish di Obama voterebbe la Merkel, che brivido, il bacio della morte, e impartisce benedizioni e lezioni di democrazia, mentre le sinistre e i movimenti conservatori liberali si mangiano le unghie sul ciglio della strada, gli eurocrati si mangiano i bilanci, e da noi sembra che perfino un quarantenne sia considerato ormai un avanzo dell’establishment di cui liberarsi via referendum in favore di avventure, scie chimiche e altri deliri di ignoranza globale. Che cosa deve pensare un semi-onesto reazionario come me? Spazzeranno via Juppé, la cara Angela, Rajoi, e faranno spazio a Orbán, che pure abbiamo difeso dlle esagerazioni quando non era di moda, mentre l’est europeo ha l’aria di sottomettersi all’uomo forte con una certa cupidigia di servilismo? Forse sono moraleggiamenti, scherzi dell’umore, d’altra parte già nel 1964 Luther King Jr. individuò “segni pericolosi di hitlerismo nella campagna elettorale di Goldwater”, un liberale e conservatore da combattimento, gran gentiluomo, che perse con onore e spianò la strada al reaganismo: le scemenze si rincorrono e bisogna distanziarsene. Però le cose si mettono strane, viene voglia di fare aliya, rifugiarsi a Tel Aviv con Meotti e i meravigliosi convegnisti del Foglio, non si sa bene che cosa pensare e se pensare sia una parola tuttora significativa, forse è meglio mettere su casa in Twitter, sparare grossa una cosa qualsiasi o rifugiarsi negli old books, nei vecchi libri, e ascoltare con Scruton e Strauss la lezione del passato, di quelli di prima, dei living dead che rendevano eroico il mito tanti secoli prima del reality.

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.