Xylella e “post-truth justice”: le opinioni dei pm contano più dei fatti
Per la magistratura italiana il batterio non è arrivato ma ce l’hanno portato, la malattia l’hanno diffusa gli scienziati, dietro ci sono i poteri forti. Nuova proroga, nuovo filone d’indagine, niente prove.
Roma. Nell’èra di Donald Trump e della Brexit, dell’affermazione dei populismi e della diffusione delle bufale, dove l’emotività e i pregiudizi si dimostrano più importanti della realtà e del giudizio critico, l’Oxford Dictionary ha indicato “post-verità” come parola internazionale dell’anno. Ma se in tutto il mondo si parla di “post-truth politics”, e cioè se si vuole indicare questa nuova condizione della politica in cui non contano i fatti ma solo ciò che si vuole credere, in Italia il fenomeno si è esteso da tempo anche ad altri ambiti, con esiti non meno inquietanti, tanto che sarebbe il caso di parlare di “post-truth justice”. Il caso più emblematico di tutti è l’inchiesta sulla Xylella fastidiosa, il batterio da quarantena arrivato dal Centro America in Salento che sta causando il disseccamento degli ulivi e che minaccia di compromettere seriamente l’olivicoltura pugliese e mediterranea.
Per questo motivo bisogna impedire la diffusione dell’epidemia anche attraverso l’eradicazione delle piante infette nelle zone di espansione. Questo è quello che affermano le istituzioni nazionali ed europee sulla base delle evidenze raccolte e delle ricerche scientifiche prodotte in tutto il mondo. Ma per la magistratura italiana le cose stanno diversamente: il batterio non è arrivato ma ce l’hanno portato, la malattia l’hanno diffusa gli scienziati, la Xylella non c’entra niente, dietro ci sono i poteri forti perché una multinazionale è proprietaria di una società che si chiama con l’anagramma di Xylella, Alellyx. Su queste basi la procura di Lecce ha bloccato il piano di contenimento del batterio, messo sotto indagine dieci ricercatori e funzionari con l’accusa di diffusione colposa di malattia delle piante, falso materiale e ideologico, getto pericoloso di cose, distruzione di bellezze naturali.
A distanza di oltre un anno dall’inizio delle indagini, tutte le ipotesi presentate sono state smentite dalle massime autorità scientifiche. Nella ricostruzione dei magistrati oltre alla logica mancano le prove, ma la carenza evidentemente non ha impedito all’inchiesta di proseguire a furor di popolo (nessuno tocchi gli ulivi! Abbasso l’Europa e le multinazionali!). Proprio quando l’inchiesta sembrava giunta a un punto morto, con la revoca del sequestro degli ulivi che impediva l’abbattimento delle piante e l’attuazione del piano di emergenza, la procura di Lecce tira un altro coniglio fuori dal cilindro: “L’inchiesta continua – dice alla stampa il procuratore capo Cataldo Motta – perché ci sono delle novità”. Così, dopo sei mesi d’indagine e sei mesi di proroga, la procura chiede altri sei mesi di tempo per chiudere l’inchiesta, perché nel frattempo sta indagando su una nuova ipotesi: “A seguito di una ricerca di una universitaria di Economia e commercio – ha dichiarato il procuratore – abbiamo soffermato l’attenzione sull’uso di insetticidi e pesticidi usati in quantità abnorme nel Salento negli ultimi 10 anni”. L’ ipotesi su cui si muove la magistratura è che “l’uso abnorme di questi prodotti abbia ridotto le difese immunitarie degli ulivi, perché le piante hanno lo stesso meccanismo immunitario degli esseri umani”.
Ci sarebbero un paio di fatti in leggero contrasto con la tesi della procura: il primo è che le piante non hanno lo stesso sistema immunitario degli esseri umani e il secondo è che le piante non hanno un sistema immunitario. Questo da un punto di vista strettamente scientifico. Ma come dice la procura, questo filone d’indagine – che contrasta con quanto sostengono il governo, la Commissione europea, l’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) e la comunità scientifica in un rapporto dell’Accademia dei Lincei – per adesso si basa solo sulla ricerca di “una universitaria”. Bisognerà vedere se le affermazioni sono vere, se cioè in questi ultimi 10 anni c’è stato un uso smodato di agrofarmaci, visto che i dati dell’Istat sulla distribuzione di prodotti fitosanitari parlano di un calo di circa il 20 per cento nell’ultimo decennio. Bisognerà poi verificare se c’è un rapporto di causa-effetto tra utilizzo di agrofarmaci e disseccamento degli ulivi, una correlazione apparentemente smentita dal fatto che la malattia colpisce anche gli oliveti biologici. Tutte cose che dovrebbero interessare la ricerca scientifica e che invece terranno occupato per i prossimi anni il procuratore Motta, che ha dichiarato di voler approfittare dell’annunciato provvedimento del governo che estenderà a tutti i magistrati la proroga al pensionamento (che per lui era previsto a fine anno). In ogni caso, il nuovo indirizzo degli inquirenti è una svolta dal punto di vista giudiziario: se la causa del disseccamento è l’uso smodato di agrofarmaci, i ricercatori finiti nel registro degli indagati e sui giornali di tutto il mondo verrebbero scagionati. Gli untori non sarebbero più gli scienziati ma gli agricoltori che avrebbero sparso pesticidi a volontà. Ma naturalmente non si può chiedere questo tipo di coerenza a un’inchiesta nata a furor di popolo.
Nel frattempo la malattia continua a diffondersi e a produrre i suoi effetti, incurante dell’inchiesta della magistratura. “L’impressione dell’osservatore – scrivevano gli scienziati dell’Accademia dei Lincei commentando questa vicenda – è che il sistema giudiziario faccia perlomeno fatica a rendersi compatibile con la realtà fisica di fenomeni naturali che si sviluppano con tempi e modi indipendenti da codici e procedure”. Benvenuti nell’èra della “post-truth justice”.
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