Ebbene sì, la gogna giudiziaria costa cara. Ora lo dice pure la Cassazione
Detenzioni ingiuste e risarcimenti. Un caso che fa scuola
Roma. La Cassazione condanna la gogna mediatico-giudiziaria (di nuovo). E’ passata inosservata una sentenza emessa a maggio, ma depositata lo scorso 19 dicembre, in cui la Suprema corte ha deciso di risarcire un imprenditore di Reggio Calabria, vittima di ingiusta detenzione, per i danni commerciali e di immagine derivanti dal particolare trattamento subìto dagli organi di informazione durante l’arresto. L’imprenditore era stato costretto a trascorrere 77 giorni in carcere e 88 ai domiciliari in seguito al coinvolgimento in una vicenda giudiziaria. Una volta scagionato da ogni accusa penale, l’uomo aveva presentato domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione subita.
La Corte d’appello di Catanzaro aveva accolto la richiesta, riconoscendo un indennizzo pari a circa centomila euro, ma l’uomo non si era ritenuto soddisfatto. La Corte di cassazione gli ha dato ragione, smentendo la linea tracciata dai giudici di appello, che nel calcolare il risarcimento avevano tenuto conto solo del mancato stipendio incassato dall’imprenditore durante e dopo la detenzione (la sua azienda, infatti, nel frattempo era fallita). Per la Suprema corte, infatti, i giudici di secondo grado non hanno adeguatamente considerato due aspetti legati all’incredibile ingiustizia di cui l’imprenditore era stato vittima. Da un lato, non sono stati calcolati i danni commerciali subiti dall’uomo e in particolare il fatto che, pochi giorni dopo l’arresto, un contratto dal valore di oltre duecentomila euro stipulato dalla sua azienda con una cooperativa era stato stralciato per mano di quest’ultima, evidentemente non a suo agio nel proseguire una collaborazione con un “arrestato”. Dall’altro lato, la Corte d’appello ha omesso di considerare i danni derivanti dal cosiddetto strepitus fori, cioè il clamore mediatico che ha accompagnato la vicenda.
La Corte, infatti, nella sentenza ricorda che la liquidazione dell’indennizzo per l’ingiusta detenzione va “svincolata da parametri aritmetici o, comunque, da criteri rigidi” ma deve invece basarsi “su una valutazione equitativa che tenga globalmente conto non solo della durata della custodia cautelare, ma anche, e non marginalmente, delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà, comprese le sofferenze morali e la lesione della reputazione”.
Nel caso di specie, secondo la Suprema corte “l’evidenza data dai mezzi di comunicazione alla notizia dell’arresto” ha provocato un ulteriore danno all’uomo, dal momento che questi era un “noto imprenditore nel settore del trasporto turistico”. Spetterà, dunque, di nuovo alla Corte di appello di Catanzaro rideterminare la misura dell’indennizzo, a questo punto certamente superiore ai centomila euro stabiliti precedentemente.
Non è la prima volta che la Corte di cassazione pone in rilievo il profilo mediatico nel valutare un caso di ingiusta detenzione. Si tratta però di un importante conferma del fatto che la gogna mediatica che accompagna le vicende giudiziarie risulta non solo inaccettabile dal punto di vista giuridico, cioè del rispetto dei diritti basilari delle persone (in primis all’onore e alla reputazione), ma rappresenta un elemento significato di spesa per le casse pubbliche.
Dal 1992 al 2016 lo stato ha pagato 630 milioni di euro per indennizzare quasi venticinquemila vittime di ingiusta detenzione, e altri 36 milioni sono stati spesi per rimborsare le vittime di errori giudiziari in senso stretto (condannate in via definitiva e poi assolte dopo un processo di revisione). Se non si vuole quindi affrontare il fenomeno dal punto di vista culturale, lo si affronti almeno dal punto di vista del risparmio economico, ma in questa battaglia dove sono i grillini e tutti gli altri fautori della riduzione delle spese?
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