Il grillismo soft del Def nasconde una Decrescita economica felice

Luciano Capone

Pubblico impiego e sussidi, invece di liberalizzazioni e taglio delle tasse: più dei vincoli di bilancio contano quelli ideologici

Roma. Prima c’è stata la richiesta dell’Europa di ridurre di due punti decimali il deficit attraverso la “manovrina”, poco più in là ci sarà una Legge di stabilità il cui compito principale sarà quello di disinnescare circa 20 miliardi di euro di clausole di salvaguardia (aumento delle aliquote Iva e delle accise), tra i due fuochi un governo e soprattutto un Parlamento che già pensano alle prossime elezioni. Il Documento di Economia e Finanza (Def) approvato dal Consiglio dei ministri non poteva che risentire dei limiti politici e dei vincoli di bilancio. I numeri sono più o meno tutti a posto, la crescita resterà stabile all’1 per cento, il debito pubblico dopo aver raggiunto il picco sopra il 136 per cento del pil si stabilizza e dovrebbe cominciare a scendere, il deficit continua a ridursi ma più lentamente, spostando il pareggio di bilancio al 2020. Sullo sfondo si sente il ticchettio delle clausole di salvaguardia, incorporate in questi conti, che il governo promette di disinnescare con un mix di maggiori entrate e minori spese – magari anche più deficit, se Bruxelles lo consentirà – da definire nei prossimi mesi.

 

Ma ciò che preoccupa, più dei saldi di bilancio, è la qualità delle misure e delle priorità scelte. Le privatizzazioni, pari allo 0,3 per cento del pil che dovrebbero ridurre il debito pubblico, saranno una specie di trucco contabile se l’intento è quello di trasferire quote di partecipazione dal Tesoro alla Cassa depositi e prestiti. Ci sono lo sblocco del turnover e l’aumento dei contratti per il pubblico impiego, con 2,8 miliardi aggiuntivi per il settore per garantire un aumento medio di 85 euro in busta paga. Ma manca l’annunciato taglio dell’Irpef, che magari poteva essere accompagnata a una razionalizzazione trasformando il “bonus 80 euro” da una spesa in una riduzione fiscale generalizzata, sostituita dall’impegno a tagliare il cuneo fiscale. Come misura per il contrasto della povertà viene inaugurato il Reddito di inclusione, che con due miliardi di euro dovrebbe garantire tra i 300 e i 500 euro al mese alle famiglie più povere.

 

Ma ciò che nel Def frena la spinta riformatrice, più dei vincoli di bilancio, sembrano essere i vincoli ideologici. Se si analizzano le scelte politiche del governo dopo la sconfitta nel referendum costituzionale, si noterà un continuo slittamento verso le proposte del M5s. Dalle proroghe sul recepimento della direttiva Bolkestein che avrebbe liberalizzare alcune concessioni pubbliche al continuo annacquamento e rinvio del ddl Concorrenza sotto la pressione della piazza, passando per l’abolizione dei voucher per il timore di una sconfitta in un referendum trainato da Cgil e M5s. I voucher non saranno uno strumento perfetto, ci saranno stati degli abusi, ma la loro cancellazione non farà che ridurre le occasioni di lavoro regolare e aumentare quelle in nero. Lo stesso Reddito di inclusione, che ha un nobile obiettivo, non è altro che un sussidio condizionato di disoccupazione simile al cosiddetto “reddito di cittadinanza” del M5s. Ne è una versione omeopatica, visto che il costo è molto più contenuto, ma le mosse del governo su questo campo non sembrano diverse dall’impianto illogico dei grillini. Il “combinato disposto” dell’abolizione dei voucher e di un sussidio legato a dichiarazioni dei redditi molto basse, sarà un grande incentivo al lavoro non regolare. Con una crescita flebile, una pressione fiscale elevata e un tasso di occupazione bassissimo, tutte le risorse economiche e politiche dovrebbero essere usate per liberalizzare, rilanciare la produttività, ridurre le tasse, aumentare l’occupazione.

 

Il grillismo soft non solo non risolverà alcun problema economico, ma non servirà sul terreno politico. Porterà acqua al mulino di chi propone la versione hard.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali