Un F15 israeliano in fase di decollo

Altri raid aerei “anonimi” in Siria, è la campagna muta di Israele

Daniele Raineri

Continuano gli strike discreti per contenere i trasferimenti di armi sofisticate da parte del governo di Damasco al gruppo libanese Hezbollah

Roma. Ieri nelle prime ore del mattino c’è stato un altro round di bombardamenti israeliani in Siria, contro obiettivi vicino alla capitale Damasco. Come di consueto, è difficile verificare cosa è stato colpito, perché il governo di Israele in quattro anni e più o meno cinquanta raid aerei ha ammesso il suo coinvolgimento soltanto in un’occasione, il 17 marzo scorso. Anche il governo siriano non tiene molto a dare la notizia, per non proiettare un’immagine di vulnerabilità e anche per non dover impegnarsi in rappresaglie impensabili in questo momento – se attaccasse Israele, rischierebbe di aprire una faida bombe contro bombe proprio quando è in momento di debolezza estrema per colpa della guerra civile. Fa parte di quella guerra di informazioni, omissioni e falsificazioni che ieri ha fatto dire al presidente siriano Bashar el Assad, in una delle interviste che concede un paio di volte al mese, che non c’è stato nessun attacco chimico il 4 aprile a sud di Idlib, “è al 100 per cento una fabbricazione”. “La nostra impressione è che gli Stati Uniti, che lavorano al fianco dei terroristi, abbiano creato questo attacco chimico per avere un pretesto per colpire. I video – ha detto Assad – non sono una prova sufficiente, tutti possono falsificare video, non è nemmeno chiaro se quei bambini sono stati uccisi a Khan Sheikhoun o se sono davvero morti”. Il presidente siriano non è nuovo a queste prese di posizioni totali: nega anche l’esistenza dei barili bomba, un tipo di arma il cui uso in migliaia di occasioni è stato documentato ogni oltre possibile dubbio.

 

Questi bombardamenti israeliani in Siria seguono un pattern: colpiscono i trasferimenti di armi sofisticate da parte del governo di Damasco al gruppo libanese Hezbollah, che in questi anni è diventato così potente che il giornale americano Wall Street Journal in un articolo del 3 aprile lo ha definito “il chiaro vincitore della guerra siriana”. Tra le armi sofisticate che il governo del presidente Bashar el Assad e gli alleati iraniani passano a Hezbollah, approfittando del fatto che sono tutti nello stesso territorio e condividono le stesse basi, ci sono anche quantitativi di armi chimiche – secondo una denuncia del ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman l’8 dicembre scorso. Di questo pattern seguito dagli israeliani nei bombardamenti fa parte anche uno stratagemma usato dai piloti che suona tecnico ma è molto utile per evitare complicazioni diplomatiche: gli aerei israeliani arrivano da ovest, quindi dal Mediterraneo, sorvolano il Libano e sganciano le bombe senza entrare nello spazio aereo siriano: si tratta di speciali munizioni equipaggiate da un sistema, lo Spice 1000, che permette loro di planare nell’aria in orizzontale anche per una distanza di 100 chilometri prima di cadere sull’obiettivo. Questo vuol dire che gli aerei israeliani non sono costretti nella maggior parte delle volte a violare lo spazio aereo siriano e i militari russi, che sorvegliano e difendono quel pezzo di cielo, non sono costretti a intervenire o a spiegare perché non sono intervenuti.

 

I raid aerei aprono due finestre su due questioni taciute. La prima è che Israele, per identificare e localizzare i trasferimenti d’armi e i convogli, dispone di un apparato di sorveglianza sulla Siria molto sensibile, con uno zoom (metaforico) molto ravvicinato, in grado di cogliere una messe di dettagli – ma per ora questa messe è segreta, anche se il governo israeliano ha confermato la strage chimica del 4 aprile. La seconda questione è quella della rappresaglia siriana, che è stata minacciata più volte. Il 17 marzo, dopo un raid più in profondità del solito, il governo siriano aveva detto che il prossimo attacco israeliano avrebbe scatenato un lancio di missili Scud di risposta sulle installazioni militari e sulle città d’Israele. Per ora non è successo nulla, e se questo silenzio durerà allora sarà stato un bluff da parte dal governo siriano.

 

Prima della guerra il gruppo Hezbollah era un figlioccio del governo siriano e subiva il rapporto di forza. Ora la situazione si è rovesciata: è il gruppo a dettare condizioni e il governo siriano – che gli deve la sopravvivenza, come anche a Russia e Iran – a obbedire. Secondo il Wall Street Journal, i libanesi hanno diritto di veto sulle nomine all’interno della gerarchia assadista e si spingono fino a proporre la strategia della guerra: assieme all’Iran, l’anno scorso hanno ottenuto che la campagna per prendere Raqqa, capitale di fatto dello Stato islamico, fosse rimpiazzata con la campagna per prendere Aleppo – dove l’Isis non c’è – come è avvenuto l’anno scorso.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)