Il segretario generale della Cei, Monsignor Nunzio Galantino (foto laPresse)

Lotto per mille

Camillo Langone

E’ tempo di dichiarazioni dei redditi, e c’è chi si chiede se vale ancora la pena di devolvere parte delle tasse a questa Cei e a questa chiesa. Breve indagine

OTTO O NON PIU’ OTTO

 

Sono un ragazzo fortunato, quando ho un dubbio dispongo di tante persone eccellenti che possono aiutarmi a compiere una scelta. Si avvicina il triste momento della dichiarazione dei redditi e quest’anno ero piuttosto incerto sul da farsi riguardo l’Otto per mille. Non per il caos dottrinale in cui è stata gettata Santa Madre Chiesa (anzi, non ci si può allontanare da una madre in difficoltà) ma per la sempre più manifesta avversione della Conferenza episcopale italiana (i vescovi che i soldi dell’Otto per mille concretamente amministrano) nei confronti dell’arte cattolica, dell’architettura cattolica, della musica cattolica, della liturgia cattolica, dei santi cattolici, della fede cattolica, eccetera. Dunque a un nutrito numero di personaggi cattolici, amici o anche non amici che comunque godono della mia stima, ho chiesto: “Tu dai l’Otto per mille alla Chiesa? Se lo dai, sei contento di darlo? Per quale motivo? Oppure lo dai obtorto collo? Se non lo dai, a chi lo dai e perché?”. Dico subito che la maggioranza degli interpellati continua a barrare la cattolica casella ma non essendo un sondaggio più dei numeri contano le motivazioni. Che riporto di seguito sotto forma di best of, frasi che di volta in volta mi hanno spinto in una direzione o nell’altra (scusandomi con chi per ragioni di spazio non riuscirò a citare).

 

OTTO PER MILLE ANCORA E SEMPRE

Mario Adinolfi: “Firmo per sostenere il clero, pagando anche così il servizio della cura della mia anima assicurato dai sacerdoti che amministrano i sacramenti a me e ai miei cari, garantendo in parrocchia la formazione cristiana alle mie figlie”. Sono in molti a intendere l’Otto per mille non come sovvenzione alla Chiesa in generale ma ad alcuni preti in particolare. Anche Rino Cammilleri: “Penso agli innumerevoli, e incolpevoli, missionari che si svenano nei luoghi più sperduti del mondo. E lo do”. E Stefano Cinelli Colombini: “Quando c’è da andare la sera dopo cena a scambiare due parole con un anziano, un malato, con me, chi c’è? Chi è lì quando hai perso una persona cara? Solo il prete, e nessuno lo paga per questo. Nessuno gli dice bravo. Se posso lo aiuto”. E Marina Corradi: “Firmo perché ho conosciuto uomini come il parroco del rione Sanità, a Napoli, e il cappellano delle carceri minorili di Roma, e un giovane sacerdote trentino che si divide fra undici parrocchie di montagna”. A guardarlo da questo punto di vista, l’Otto per mille ha davvero un altro aspetto, non è più una tassa clerical-statale ma un aiuto ad amici che svolgono un servizio indispensabile in condizioni spesso disagiate. Esistono però diversi livelli di fiducia e di entusiasmo, e non mancano i tentennamenti anche fra chi alla fine comunque dona. Nessun dubbio in Beatrice Fazi che versa “per sostenere quei sacerdoti che tra mille affanni si impegnano ogni giorno compiendo piccole e grandi opere di misericordia non solo corporale”. Qualche dubbio in Massimo Giletti: “Ho la speranza che i soldi raccolti vadano davvero ai sacerdoti che lottano ogni giorno in prima linea, ma certamente mi piacerebbe saperlo con certezza”. Molti dubbi in Ettore Gotti Tedeschi: “Ho sempre dato e darò il mio (consistente) Otto per mille alla Chiesa. Più di una volta, leggendo le esternazioni di questo monsignor Galantino, ho pensato di non darlo più. Poi mia moglie Francesca mi spiega a chi lo toglierei, i tanti santi sacerdoti che magari con soltanto i rimasugli fanno un bene che i signorotti della Conferenza episcopale neppure conoscono. Quella santa Chiesa merita la mortificazione dell’Otto per mille alla Cei”. Dunque l’Otto per mille come forma di ascesi e così ci avviciniamo alla virtù teologale che anima Marcello Pera, firmatario “non per obbligo esterno ma per interno dovere di carità”. Sensibile al tema anche Pier Carlo Bontempi: il massimo architetto classico italiano avrebbe tutto il diritto di boicottare la Cei, che costantemente gli preferisce architetti nichilisti, eppure firma perché conosce “l’importanza dell’opera della Chiesa, in particolare delle Case della Carità” (sorta di case-famiglia, emanazione di una congregazione mariana, che fraternamente accolgono persone molto povere o molto malate). La parola casa ritorna spesso nelle risposte dei miei interlocutori. “La Chiesa la considero come una grande casa: puoi allontanarti, tornare, starci bene o male ma resta per me la casa grande cui appartengono tutti i miei familiari!”, mi scrive Barbara Palombelli, che pertanto devolve. Lo stesso fanno Luigi Amicone (“Contentissimo di dare l’obolo alla Chiesa perché è casa mia, la mia razza e il mio destino”) e Marco Cingolani (“Perché la chiesa come edificio è il luogo che mi fa sentire a casa in ogni luogo. Anche quando è una brutta casa”). Due donne che più diverse non saprei immaginare, una stilista molto romana e una poetessa molto giussaniana ovvero Lavinia Biagiotti e Francesca Serragnoli, usano parole identiche: “Mi sembra un gesto tangibile di appartenenza”, “Come segno tangibile di appartenenza”. Dicevano che la musica unisce e non è vero, se una persona mi attira e scopro che apprezza Fabri Fibra o Levante, per citare due nomi in cima alle classifiche, ecco che subito mi allontano da lei: a unire è semmai l’Otto per mille. Per Andrea Monda “è un modo per partecipare all’avventura della Chiesa, sempre in bilico ma che ancora ce la fa certamente per opera dello Spirito Santo, anche se non sottovaluterei il contributo di tanti fedeli”. A Giacomo Poretti, testimone della campagna “Cresciuto in oratorio”, dell'Otto per mille coerentemente “stanno a cuore i soldi destinati alle diocesi, quindi agli oratori”. Tuttavia la mia natura mistica mi rende più sensibile alle motivazioni di Aurelio Picca: “Lo do da sempre, per il semplice motivo che la Chiesa è depositaria delle reliquie di San Pietro che ha abbracciato e baciato Cristo”. Di Costanza Miriano: “Io quelli che mi danno Cristo, i sacerdoti, li aiuterò sempre, perché senza di loro non c’è nessuna via di uscita dal fango, non c’è speranza di salvezza eterna”. Di Susanna Tamaro: “Continuo a essere convinta che la Chiesa come diceva Edith Stein sia un ‘torrente di grazia che attraversa i secoli’ e dunque sono felice di poter contribuire a questo torrente”. E del sorprendente Massimo Bitonci, leghista e venetista e però in materia religiosa per nulla secessionista: “Il mio Otto per mille finisce regolarmente alla Chiesa di Roma, che rappresenta il tramite più affidabile che io conosca, su questa terra, tra gli uomini e Dio”.

 

Condivido anche l’antistatalismo di Roberto Brazzale (“Per aiutare la Chiesa e perché, comunque sia, sempre meglio alla Chiesa che allo Stato”) e di Vittorio Sgarbi (“Meglio alla Chiesa cattolica che a qualunque altra chiesa, meglio a qualunque altra chiesa che allo Stato: per non contribuire a pagare lo stipendio ad Alfano”) e l’astatalismo di Maurizio Lupi, che opta per “la possibilità di dare una parte delle proprie tasse a chi lavora per il bene di tutti e non solo allo Stato”. Ammiro la sublime sprezzatura di Vittorio Messori: “Mi limito a portare al mio vecchio commercialista i documenti che metto in una cartellina man mano che mi arrivano. Ritorno da lui quando i moduli sono pronti per la firma. Il commercialista in questione è dell’Opus Dei, è lui che, senza consultarmi, da sempre mette la crocetta sul quadratino della Catholica. Io firmo senza obiettare. In fondo gli sono grato, mi risparmia l’incertezza della scelta”.

 

OTTO PER MILLE PER MILLE ANNI

 

La risposta di Massimo Introvigne merita un capitoletto specifico perché ricchissima di risvolti storici e tecnici: “Trovo un po’ puerile chi condiziona la sua scelta a chi sia il Papa, chi sia il vescovo, chi sia il parroco… Penso che i cattolici che ragionano così abbiano un deficit di senso storico e si debbano ripassare i passaggi. Primo: durante il Risorgimento la Chiesa fu spogliata (più esattamente, derubata) dei suoi beni. Secondo: questa ingiustizia fu oggetto di transazione con il concordato del 1929 e lo Stato italiano si impegnò a restituire il maltolto pagando uno stipendio (congrua) ai parroci. Terzo: nel 1984 Bettino Craxi e monsignor Nicora crearono un sistema che fosse aperto anche alle altre religioni e trasformarono la congrua nell’Otto per mille. Ma nei confronti della Chiesa cattolica Craxi stava sempre restituendo quello che lo Stato aveva rubato nel Risorgimento e che non basterebbero mille anni a ripagare (quanto vale, da sola, Roma?). Quindi quelli che non danno l’Otto per mille alla Chiesa in polemica con Papa Francesco pensano di essere nipotini di Pio IX ma sono nipotini di Cavour e delle sue leggi di secolarizzazione. Aggiungi che alcuni sono anche un po’ fresconi perché lasciano in bianco la scelta pensando che così i soldi vadano allo Stato (già una brutta idea: davvero si fidano dello Stato?). In realtà non vanno allo Stato ma sono divisi pro quota sulla base delle scelte espresse. Cioè se l’ottanta per cento di quelli che scelgono opta per la Chiesa cattolica, il cinque per cento per gli ebrei, il tre per i valdesi, l’Otto per mille di chi non sceglie andrà per l’ottanta per cento alla Chiesa cattolica, per il cinque per cento agli ebrei, il tre ai valdesi…”.

 

OTTO PER MILLE BASTA

  

Francesco Agnoli: “Da due anni non lo do. Credo che tutte le attività che si affidano alla Provvidenza hanno successo, quelle che puntano sui soldi statali subiscono troppi condizionamenti e spesso non hanno la benedizione di Dio”. Magdi Allam: “Da qualche anno non do più l’Otto per mille alla Chiesa perché contesto innanzitutto la sua legittimazione dell’islam e in secondo luogo la promozione dell’immigrazionismo, dell’accoglienza incondizionata e illimitata di clandestini prevalentemente musulmani”. Gianfranco Amato: “Ho sempre dato ma quest’anno ho cambiato idea. Ho l’amara impressione che una certa tiepidezza della Chiesa italiana sia dovuta anche al fatto di dover dipendere finanziariamente dallo Stato laico. E quando la Chiesa dipende da Cesare, risponde a Cesare. Temo che il potere abbia invitato la Cei ad essere cauta nell’affrontare alcuni temi (unioni civili, eutanasia, utero in affitto) sotto la minaccia di ridiscutere le modalità del finanziamento pubblico. L’anno scorso sono stato invitato in Messico per tenere una conferenza. Ho scoperto una Chiesa davvero libera, coraggiosa, capace di proclamare la Verità a voce alta. E non credo sia un caso il fatto che non riceva contributi dallo Stato messicano. La Chiesa messicana è florida e si sostiene esclusivamente attraverso il finanziamento dei fedeli. Io vorrei anche per il nostro paese una Chiesa simile!”. Flavio Cuniberto: “Sono da alcuni anni un obiettore di coscienza. Non credo che il problema finanziario sia una questione rilevante per la Chiesa: lo è certamente nella prospettiva della Curia romana, ma la crisi della Chiesa cattolica non ha nulla a che fare con la diminuzione delle sue risorse finanziarie. E poi che cosa andrebbe a finanziare il mio contributo? Seminari che restano comunque vuoti? Orrori architettonici come la chiesa di Fuksas a Foligno?”. Roberto Dal Bosco: “Non lo do da almeno un lustro perché mi trovo in contrasto assoluto con una Cei che è sempre più braccio armato della necrocultura (di recente il semaforo verde al sacrificio umano eutanasico) e della grande sostituzione migratoria, in una parola dell’anticristianesimo. Per completezza, ti dico che la crocetta la faccio per gli ortodossi dell’Esarcato”. Giovanni Gasparro: “Ho maturato l’idea di soprassedere perché non voglio rendermi indirettamente complice, con i danari guadagnati con la mia pittura, del finanziamento delle conferenze pro gender come quelle organizzate dalla diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi. Non desidero più pagare il compenso di Fuksas o qualsivoglia architetto ateo per costruire chiese aniconiche sul modello protestante. Sono ancora nauseato dagli affreschi ecumenico-omoerotici di Ricardo Cinalli nel duomo di Terni, commissionati ai tempi di monsignor Paglia. Non voglio che i miei soldi giungano nelle mani del mio arcivescovo Francesco Cacucci perché rimetta in cattedra Enzo Bianchi o Vito Mancuso per sentirmi dire che Ario e Lutero sono stati vilipesi dal cattolicesimo. Niente obolo per finanziare incontri interreligiosi blasfemi come quello di Assisi e far recitare il Corano dai pulpiti delle nostre cattedrali. Non voglio più veder canonizzare le malefatte abortiste di Pannella ed Emma Bonino dal presidente della Pontificia Accademia per la vita (ancora monsignor Paglia)”. Alessandro Gnocchi: “Ho trovato obbrobriose le campagne pubblicitarie, l’unico luogo in cui si trovano persino dei preti vestiti da preti. Buoni sì, ma fessi no, mi son detto. L’Otto per mille lo do agli ortodossi perché, a differenza di quasi tutti i preti cattolici, se li conosci non li eviti”. Gnocchi è il secondo amico che firma per i cristiani orientali. Ce n’è un terzo ed è un’amica, Elisabetta Frezza Bortoletto: “Precisamente dal 2013 non do più l’Otto per mille alla Chiesa cattolica perché professa ufficialmente un’altra religione. Lo do agli ortodossi anche perché, qualora non lo dessi a loro (che peraltro dimostrano di meritarselo), finirebbe comunque nelle tasche della Cei, vero epicentro della dissoluzione”. Ultimo ma non ultimo Antonio Socci, il cui pensiero traggo non da una mail bensì da un articolo uscito su Libero: “Preferisco spendere di tasca mia, direttamente, per sostenere missionari, opere di carità e religiosi veramente cattolici. Quando in Vaticano tornerà chi onora il Dio cattolico e chi difende il popolo cristiano e la sua fede, io ricomincerò a firmare l’8 per mille. Oggi dominano le tenebre”.

  

OTTO PER MILLE MAI

  

Solitaria in questo capitoletto è Susanna Ceccardi, prima sindaca leghista di Toscana. Per motivi anagrafici non ha mai avuto la possibilità di sostenere la Chiesa pre-Francesco: “Io l’Otto per mille non l’ho mai donato perché c’è Bergoglio da quando faccio la dichiarazione dei redditi. E sinceramente non vado nemmeno più in chiesa. Quando ci sarà un Papa che non dirà cavolate ogni volta che prende l’aereo forse tornerò in chiesa e forse comincerò a donare”.

 

OTTO PER MILLE BOH

 

Giovanni Lindo Ferretti: “Mi intristisce la riduzione a millesimi del principio di carità e la commistione tributaria”. Carlo Giovanardi: “Quest’anno sono molto incerto se aumentare il contributo diretto alla mia parrocchia o barrare la crocetta riguardante la Conferenza episcopale italiana, in quanto profondamente deluso dall’atteggiamento tenuto da quest’ultima su temi decisivi per il futuro della nostra società e delle nostre famiglie”. Con Marcello Veneziani torna il richiamo dell’ortodossia: “Sono fortemente tentato, nel nome di Cristina Campo e di Pavel Florenskij e in barba a Papa Bergoglio e ai catto-pardi che gestiscono i saldi di fine cristianità in chiave di accoglienza e di compiacenza dello spirito del tempo, di devolverlo alla chiesa di rito bizantino, greco-ortodossa”.

 

OTTO PER MILLE IO

 

Condivido quasi tutte le risposte degli amici, non dubito ci sia del vero in ognuna di esse, comprese innanzitutto quelle del gruppo Otto-per-mille-basta (i cui elenchi di doglianze sono i miei). Detto questo, dopo lunga riflessione ho deciso di continuare a contribuire, per accogliere la preghiera pronunciata in Giovanni 17,21: “Perché tutti siano una sola cosa […] perché il mondo creda che tu mi hai mandato”. Non vorrei mai che la pur completa disistima verso gli ipocredenti vescovi italiani contasse più dell’ubbidienza a Cristo.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).