Fiscal compact, avanti
Critica economica e politica alla proposta renziana di ritornare a Maastricht
Le molte anticipazioni del libro-manifesto di Matteo Renzi hanno avuto il merito di riportare i contenuti programmatici al centro del dibattito politico. Le ho apprezzate e condivise tutte, tranne una: quella che chiede di superare il Fiscal Compact, col suo “obiettivo di medio termine”, individuato nel pareggio strutturale del bilancio, e di “tornare a Maastricht” e alla sua soglia massima del 3 per cento nel rapporto deficit-pil. Renzi propone in sostanza un nuovo patto con l’Europa, che consenta all’Italia di tenere, per almeno cinque anni, al 2,9 per cento il rapporto deficit-pil e di utilizzare questi quasi 30 miliardi l’anno per finanziare un robusto programma di sgravi fiscali, a favore delle famiglie e delle imprese, come leva per accelerare la ripresa della crescita e dell’occupazione. Sembra invece ignorare l’altro vincolo di Maastricht: l’obbligo di tenere (o ricondurre in tempi certi) il debito entro il 60 per cento del prodotto.
Questa anticipazione, al contrario delle altre, mi ha lasciato perplesso, per tre ragioni.
La nuova strategia
di deficit al 2,9
per cento supera,
se non sconfessa,
la linea fin qui tenuta
da Padoan e dai due governi del Pd
La svolta di Renzi
sul deficit appare
un cedimento culturale del riformismo
alle parole d'ordine
del populismo, di destra e di sinistra
Seconda ragione di perplessità: la svolta di Renzi appare un cedimento culturale del riformismo alle parole d’ordine del populismo, di destra e di sinistra. Un cedimento particolarmente vistoso nelle parole pronunciate dal ministro Delrio nell’intervista alla Stampa di entusiastica adesione alla proposta Renzi: “E’ venuto il momento di dirlo — e infatti il ministro lo dice — firmare il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio in Costituzione è stato un grave errore”. Delrio ha il merito di ricordare che il principio del pareggio (o meglio dell’equilibrio strutturale) del bilancio non è affermato solo dal Fiscal Compact, ma anche dall’articolo 81 della nostra Costituzione. Un articolo che, nella sua prima versione, fu voluto da padri costituenti della statura di Einaudi e Vanoni, proprio per impedire deficit e debito eccessivi. Un articolo che fu sistematicamente aggirato a partire dagli anni Settanta, con il finanziamento in deficit dell’esplosione della spesa pubblica, in particolare previdenziale, attraverso l’espansione monetaria imposta dal Tesoro alla Banca d’Italia, con il conseguente impennarsi, prima dell’inflazione e poi, quando quell’imposizione fu rimossa da Andreatta e Ciampi, del debito pubblico, che nell’arco del decennio degli anni Ottanta passò dal 50 al 100 per cento del pil. Un articolo che invano Andreatta cercò di riformare, per renderlo più stringente e meno aggirabile, con la proposta che presentò alla Commissione Bozzi e che naufragò insieme alla commissione. Un articolo che abbiamo riformato noi, nella passata legislatura, su positivo impulso del governo Monti, rendendolo più efficace proprio in quanto più flessibile. L’attuale versione dell’articolo 81 infatti prescrive “l’equilibrio tra le entrate e le spese” del bilancio dello Stato, “tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”. Quindi, nelle fasi espansive, il bilancio pubblico deve accumulare avanzo, da utilizzare in chiave anticiclica nelle fasi di rallentamento o addirittura di recessione, nelle quali la spesa in deficit è prevista e approvata, purché autorizzata dal Parlamento a maggioranza assoluta. Vale la pena ricordare, ancora una volta, che questa flessibilità non era prevista nel testo precedente, quello in vigore dal 1948, che forse anche per la sua rigidità è stato l’articolo più clamorosamente violato della Costituzione italiana. Aggirato come una minacciosa, ma impotente Linea Maginot. Al contrario, il nuovo articolo 81 è stato pienamente applicato in questi anni e si potrebbe perfino sostenere che esso abbia ispirato e condizionato la stessa applicazione del Fiscal Compact, che il governo Renzi ha imposto in Europa. Il “contrordine” di Renzi e Delrio su Fiscal Compact e nuovo articolo 81 è dunque un incomprensibile errore di posizionamento politico-culturale, come lo è rimpiangere norme rigide e “stupid”, preferendole alle nuove norme, europee e italiane, certamente assai più flessibili e “smart”.
La proposta rischia
di sganciare l'Italia dall'asse franco-tedesco, nato dopo la vittoria
di Macron, che guida
la riforma dell'Eurozona
Terza ragione di perplessità: la proposta di Renzi rischia di compromettere la partecipazione dell’Italia, in posizione paritaria, al gruppo di testa per la riforma dell’Eurozona, che si va creando attorno all’asse franco-tedesco dopo la strepitosa vittoria di Macron. Contrariamente a quanto affermano i tanti detrattori del governo Renzi, il ruolo dell’Italia a fianco della Germania di Frau Merkel è stato decisivo nel biennio 2014-2016, ovvero nel periodo che va dalle elezioni europee al referendum sulla riforma costituzionale. In quel biennio, segnato anche da un vistoso appannamento del ruolo della Francia, a causa della debolezza del presidente Hollande e della forza del rischio Le Pen, l'asse decisivo nel governo dell’Europa è stato quello Berlino-Roma. La storica affermazione del Pd renziano alle elezioni europee ha fatto del principale partito italiano il capofila dello schieramento socialdemocratico europeo, uscito sconfitto dalle elezioni per il Parlamento di Strasburgo, ma comunque indispensabile ai popolari guidati dalla Cdu per dare a Jean-Claude Juncker, loro candidato alla presidenza della Commissione, i voti necessari ad avere la fiducia del Parlamento europeo. Perfino la Bce di Mario Draghi non avrebbe potuto varare il suo programma di Quantitative easing senza il compromesso tra Renzi, impegnato nelle sue riforme “spettacolari” (Merkel), a cominciare dal Jobs Act, che stavano restituendo credibilità all’Italia, e la cancelliera tedesca, impegnata a rendere digeribile, ai falchi di Berlino e di Francoforte, una linea di flessibilità, sia nella politica di bilancio che in quella monetaria. Né va dimenticato il forte sostegno, tenacemente ricercato e ottenuto da Renzi, dell’amministrazione Obama al governo del giovane premier italiano.
Sarebbe preferibile
una battaglia
per la Fiscal capacity anziché per superare
il Fiscal compact, tornando indietro, anziché andando avanti
Tutto questo enorme lavoro è stato in gran parte compromesso dall’esito del referendum costituzionale, che ha riportato politicamente l’Italia in seconda fila, proprio mentre con la vittoria di Macron la Francia tornava a prendersi il posto di partner privilegiato della Germania. Macron ha tuttavia bisogno dell’Italia per condurre a termine il suo ambizioso rilancio del progetto europeo, basato su un’idea nata ai tempi del governo Monti: quella della capacità di bilancio (Fiscal Capacity) dell’Eurozona: compensare l’effetto recessivo delle politiche di consolidamento fiscale imposte dal Fiscal Compact, con l’allestimento di un motore espansivo a livello federale, finalizzato a rilanciare la strategia di investimenti prevista dal programma di Lisbona, alla quale Renzi pure si richiama postitivamente nel suo libro-manifesto. Questo compromesso tra nordici e mediterranei è certamente preferibile ad una battaglia per superare il Fiscal Compact, tornando indietro, anziché andando avanti. E’ preferibile sul piano europeo, perché la capacità di bilancio dell’Eurozona fa avanzare quello che lo stesso Renzi richiama come il sogno di Ventotene, ovvero il sogno di un’Europa effettivamente federale. Ma anche su quello italiano, perché soddisfa l’esigenza vitale per il nostro paese di una ripresa della crescita, della produttività totale e di buona e piena occupazione, in particolare dei giovani, non attraverso nuovo deficit e dunque nuovo debito, che anzi potranno essere ricondotti su un più rapido programma di riduzione, ma grazie alla spinta di un potente motore federale europeo.
Può darsi che queste perplessità siano infondate e che abbia ragione Renzi. Me lo auguro con tutto il cuore, per il bene dell’Italia e del Pd. Ma temo che non sia così. E credo che sia utile discuterne.
*senatore Pd, presidente della Commissione Bilancio
Il Foglio sportivo - in corpore sano