Il Media center di Singapore. Foto di Massimo Morello

Il Singapore summit tra Trump e Kim è una scommessa

Massimo Morello

Per ora molto circo mediatico all'arrivo dei due leader di America e Corea del nord, ma poco altro. La vita a Singapore sconvolta dagli ingorghi

Singapore, dal nostro inviato. "Se tutto va bene sarà un bene. Ma se va male, allora proietterà un’immagine negativa sulla città. Qualcosa di brutto", dice Kelly, giovane giornalista di Singapore, in caccia di commenti sul summit tra il presidente americano Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un. Sembra quasi turbata, più che orgogliosa del fatto che in questi giorni Singapore sia al centro del mondo. Ma in questa città stato che sembra la materializzazione di un futuro utopico o distopico secondo chi la osserva, il feng-shui, l’arcana arte divinatoria che si basa sui segni naturali, sembra radicata nel Dna. E forse questo Summit è vissuto proprio come un epocale segno naturale che può determinare il destino della città. Oltre che quello del pianeta: a ben pensarci può essere paragonabile a quel congresso di Vienna che nel 1814 ridisegnò la geopolitica europea.
Per qualcuno, come un tassista che vanta la sua origine cinese, l’ingorgo creatosi tra le 14 e 30 e le 15 sulla Pan-Island Expressway che collega l'aeroporto Changi international al centro della città è già un evento nefasto.  Provocato dal passaggio del corteo di auto che portava Kim Jong-un, la sua scorta e il suo entourage al St. Regis Hotel, uno dei più lussuosi tra quelli del quartiere di Orchard road (per la precisione in Orchard Parade), il più famoso di Singapore proprio per i suoi hotel e i suoi centri commerciali. Quell’ingorgo si è risolto in poco più di mezz’ora: un tempo quasi organico altrove, ma che in una città abituata a un perfetto ordine rientra tra le anomalie naturali.

 

Formalmente il Summit si svolgerà martedì 12. In realtà, come un imprevisto prevedibile, è iniziato due giorni prima, con l’arrivo dei suoi protagonisti: Kim Jong-un, atterrato qui alle 14 e 30 a bordo di un Boeing 747 della Air China, e Donald Trump, atterrato alle 20 e 20 sull’Air Force One alla base aerea di Paya Lebar. E poi accompagnato con un altro corteo d’auto allo Shangri La Hotel - 750 metri dal St. Regis.
Nel frattempo, in attesa di un evento che ancora non è avvenuto, i 2.500 giornalisti ufficialmente accreditati (senza contare quelli che son qui cercando di guadagnarsi un futuro accredito altrove e i giornalisti americani e coreani che hanno stabilito la propria base in centri esterni a quello stabilito dal ministero dell’Informazione di Singapore nei paddock del Gran Premio di Formula Uno) sono a caccia di notizie, di storie che diventano importanti solo perché non ce ne sono altre.

 

Ed ecco diffondersi scenari di altri ingorghi, blocchi di strade, aumento del controllo in una città sin troppo spesso già rappresentata come uno scenario da Grande fratello. E così si rincorrono voci sul costo della Presidential suite di Kim (ottomila dollari, senza precisare se singaporeani o americani, separati da 38 centesimi) e su chi avrebbe pagato il conto; sugli aerei “civetta” che avrebbero accompagnato il suo volo (a bordo di un aereo ufficialmente di linea ma che in realtà sarebbe una sorta di Air China One, ossia l’aereo personale del leader cinese Xi Jinping), delle auto utilizzate, sulle scorte, sulle prostitute calate in città proprio in attesa dei media. Osservando lo scorrere delle breaking news sugli schermi del Media Centre ci s’intervista vicendevolmente.

 

Almeno per ora, quindi, e sino a martedì 12, il vero protagonista del summit (salvo l’accadere di eventi, fausti o nefasti), è Singapore. Tanto che il primo ministro Lee Hsieng Hong esorta i suoi cittadini a esprimere la propria opinione anche su ciò che può e deve essere fatto per Singapore, che potrebbe diventare una Shangri-La da cui prende nome l’albergo in cui alloggia Trump: quel mitico regno di pace e saggezza descritto nel romanzo di James Hilton “Orizzonte Perduto” (1933) e poi rappresentato in un film diretto da Frank Capra (1937), una storia di pura fantasy, o pre-new-age, che è stato collocata, per coincidenze letterarie e immaginarie, nella regione cinese dello Yunnan, al confine con la “Regione Autonoma” del Tibet. E' l’ennesimo segno che indica chi potrebbe essere il vero deus ex machina di questo summit: il segretario generale del partito comunista e presidente della repubblica cinese Xi Jinping.

 

Se tutto andrà bene ci sarà anche un altro piccolo vincitore: un non più giovane giornalista sudcoreano, abbastanza anziano da aver vissuto le tensioni e gli scontri sul confine della DMZ (la Zona Demilitarizzata al confine tra le due Coree) tra gli anni Ottanta e Novanta che hanno quasi scatenato una nuova guerra. "Non m’interessa la riunificazione. Ci potrà essere, lo spero. Ma quello che vorrei adesso è la pace".