Il presidente russo Vladimir Putin (foto LaPresse)

Putin, che succede?

Micol Flammini

I brogli imbrogliati in Siberia, le spie distratte, i funzionari del governo impazziti

Roma. E’ una storia siberiana, avrebbe potuto essere una vicenda anonima e lontana. Invece si è trasformata in un paradigma, o peggio, nella prova generale di un fallimento. A Primorskie Krai, una regione dell’estremo oriente russo – di cui fa parte la città di Vladivostok – che guarda al Giappone, lambisce la Manciuria e sfiora la Corea del nord, domenica 16 settembre ci sono state le elezioni per scegliere il governatore regionale. Si trattava del secondo turno, durante il primo nessuno dei candidati aveva superato la soglia del 50 per cento, così erano rimasti a contendersi la carica Andrei Tarasenko e Andrei Ishchenko, uno sostenuto da Putin, l’altro dal Partito comunista. Durante lo spoglio, con il 95 per cento dei voti, Ishchenko era in vantaggio. Ma come? Deve aver pensato Tarasenko, da quando il sostegno di Vladimir Putin non è più garanzia di vittoria? Come lui devono aver ragionato in molti, ma arrivati a quel 95 per cento c’era poco da fare. Eppure, all’improvviso, all’ultimo minuto, dei due Andrei in corsa ha vinto Tarasenko, il putiniano, con un margine dell’1 per cento.

 

Sostenere che si sia trattato davvero di una sorpresa è stato difficile anche per la Commissione elettorale centrale e per la presidentessa Ella Pamfilovna che ha chiesto di annullare il risultato. Ora spetta alla commissione regionale prendere la decisione finale, e se adottasse le raccomandazioni, sarebbe la prima volta dal 1996 che gli elettori sarebbero richiamati alle urne. A ogni elezione in Russia fanno seguito le denunce di brogli, ma questa ha sbalordito tutti e si aggiunge a una serie – che comincia a essere lunga – di debolezze da parte del Cremlino.

 

La messinscena siberiana nasce da un errore, probabilmente Tarasenko e i suoi sostenitori non avevano preso in considerazione la possibilità di poter perdere: il consenso di Putin e il 47 per cento dei voti ottenuto al primo turno sembravano una garanzia. Gli uomini del presidente non perdono mai, tranne Medvedev, al quale spetta la parte del perdente, ma è questione di ruoli. E’ una regola, il marchio Putin porta fortuna. Eppure a Primorskie Krai, arrivati al 30 per cento dei voti scrutinati, le cose non andavano così. Andrà meglio, deve aver pensato Tarasenko. Ma nemmeno al 40 per cento andava meglio, nemmeno all’80 e una volta arrivati al 95 per cento, l’Andrei comunista continuava a essere in vantaggio. Deve essere intervenuto un deus ex machina un po’ arraffone e poco astuto – sarebbe bastato falsificare il risultato un po’ prima, hanno pensato molti commentatori – che ha capovolto l’esito all’ultimo minuto. Una falsificazione rozza e sciatta che oltre ad aver dimostrato che il sostegno di Putin non è più una garanzia, ha evidenziato una mancanza di preparazione da parte degli uomini del Cremlino. I brogli, denunciati dall’Istituto di ricerca indipendente Golos, sono stati talmente palesi da risultare inaccettabili anche per la Commissione elettorale.

  

Altre tre regioni dovranno votare nei prossimi mesi e dopo i fatti siberiani sicuramente le opposizioni chiederanno una sorveglianza strettissima e se, sotto questa vigilanza, liberamente gli elettori dovessero scegliere candidati non sostenuti da Putin, cosa potrebbe succedere? Forse il presidente, per venirne fuori, potrebbe decidere di non spingere nessuna candidatura. Ma dopo i fatti di Salisbury, la goffa missione degli agenti segreti Petrov e Borishov; le disavventure dell’oligarca russo Deripaska – amico di Putin e figura chiave del Russiagate – con la escort Nastya Rybka (pesciolina); dopo che il capo della guardia nazionale, Viktor Zolotov, ha sfidato a duello l’oppositore Alexei Navalny su YouTube e che il capo del Consiglio di sicurezza nazionale Nikolai Patrushev ha accusato il subconscio di Madeleine Albright, ex segretario di stato americano, di voler rendere la Siberia indipendente dalla Russia, viene da chiedersi dove sia finita la regia di Vladimir Putin. Cosa sia successo al genio calcolatore del presidente russo. Una giornalista dell’emittente radiofonica Echo Moskvy ha definito la Russia una scimmia con una granata in mano. “E’ così che il mondo vede Mosca – ha commentato Karina Orlova – E’ divertente, fa ridere e per questo è ancora più pericolosa”.

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