Consigli di lettura non usuali per gente più che “usuale”
Per Natale lasciate perdere cellulari o borsette e andate in libreria. Quattro suggerimenti per scegliere un bel regalo giusto per la persona sbagliata. O un regalo sbagliato per la persona giusta
Il Natale è alle porte ma io non sono qui per dirvi che dovete essere più buoni – dopotutto, nessuno è mai pronto alla bontà, che è anche decisamente passata di moda. L’epoca della piccola fiammiferaia è finita da un pezzo, la povertà è in via di demolizione (così ci hanno detto, e chi sono io, che credo ancora a Babbo Natale, per non credere a loro?): chi sta meglio di noi? Del vecchio e caro Natale, perciò, restano solo i regali, ma su questi non si scherza.
Lasciate perdere cellulari, vestiti, scarpe e borsette. Per quelli avete avuto tutto il Black Friday. Piuttosto, recatevi in libreria – vi è concesso di barare anche con gli store online, ma la libreria fisica, con tanto di libraio pronto ad aiutarvi, è sempre meglio – e scegliete un bel regalo giusto per la persona sbagliata. O un regalo sbagliato per la persona giusta, vedete voi. Perché quelli che sto per darvi sono dei consigli di lettura non usuali provocatoriamente adatti a gente più che “usuale”.
Per il maschio alfa, l’uomo che non deve chiedere mai:
Lo scrittore Alessio Romano e il fotografo Ale Di Blasio hanno dato vita ad un progetto dal titolo evocativo, “Una stanza tutta per loro. Cinquantuno donne della letteratura italiana” (Avagliano Editore): questo libro fotografico si pone l’obiettivo di immortalare una buona fetta del nostro panorama culturale femminile, ma senza perseguire l’idea della “letteratura femminile” (o “al femminile”), poiché non esiste (come non ne esiste una maschile). La letteratura, semplicemente, è fatta da uomini e da donne.
Ogni autrice – da Camilla Baresani a Teresa Ciabatti, da Lidia Ravera a Donatella Di Pietrantonio – sono state ritratte nel loro luogo più intimo, quello in cui scrivono, che può essere la stanza del cane (come per Rosella Postorino) o un bar di Ponte Milvio (come per Simona Sparaco), o la casa isolata, immersa nella natura, di un paesino abruzzese come Pescasseroli (per Dacia Maraini). Rituali, tic, piccole fissazioni; e poi il silenzio, la pace, o il trambusto dei luoghi pubblici in cui si muovono dei perfetti sconosciuti. Alessio Romano descrive il mondo che si cela dietro lo sguardo di queste artiste della parola, catturato con grande maestria da Ale Di Blasio: il merito di questo libro prezioso e graficamente impeccabile, è quello di aver saputo cogliere – e raccogliere – la cosiddetta “luccicanza”, un guizzo spirituale, emotivo ed espressivo che prende vita nella “stanza tutta per sé”.
Per uomini e donne saldamente attaccati alla realtà:
Il Mulino ha recentemente pubblicato l’ultima perla di Chiara Frugoni, docente di Storia medievale nelle Università di Pisa, Roma e Parigi e dunque, neanche a dirlo, appassionata di Medioevo. Dopo il mitico “Medioevo sul naso. Occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali” e “Vivere nel Medioevo. Uomini, donne e soprattutto bambini”, la Frugoni torna con “Uomini e animali nel Medioevo. Storie fantastiche e feroci”. Sì, avete intuito bene. Unicorni, draghi, grifoni e altre creature surreali e favolose popolano questo volume ricco di immagini – con tanto di riproduzione della Mappa mundi di Ebstorf. Si parte della Sacre Scritture, quelle in cui appaiono con disinvoltura i primi animali fantastici (“e dove trovarli”, lo so che l’avete pensato, ma questa è un’altra cosa), come gli unicorni – che, a dispetto dell’immaginario comune odierno, all’epoca erano considerati piuttosto pericolosi –, passando per le leggende sorte attorno alle imprese di Alessandro Magno (che secondo una versione di queste leggende sarebbe asceso al cielo con un carro trainato da due grifoni), fino ad arrivare al cuore dell’epoca medievale. Gli uomini del Medioevo, però, avevano un rapporto ambivalente con gli animali: se da un lato dipendevano da loro per il nutrimento e per l’aiuto nei campi e nei trasporti, dall’altro erano terrorizzati dagli animali selvatici (orsi, lupi – da qui l’espressione “in bocca al lupo” – e maiali girovaghi che divoravano neonati in culla).
Un saggio istruttivo e divertente per arricchire il nostro universo cultural-fantastico.
Per i benpensanti della domenica:
La neonata casa editrice Rina Edizioni si è posta un obiettivo importante, quello di creare un progetto editoriale dal titolo “Libertarie: scrittrici italiane d’altri tempi”, finalizzato al recupero – e dunque alla ripubblicazione – di alcuni testi di scrittrici italiane tra Otto e Novecento poco note alla letteratura italiana contemporanea. In questo progetto si inserisce uno dei primi titoli pubblicati da Rina, “Tipi bizzarri” di Amalia Guglielminetti, colei che fu definita da Gabriele D’Annunzio come “l’unica poetessa che abbia oggi l’Italia”. “Tipi bizzarri” esce per la prima volta nel 1931 per Mondadori e raccoglie simpatiche e sfiziose novelle che tratteggiano personaggi del ventennio fascista, di estrazione principalmente borghese, dall’indole pigra, noiosa e perbenista. Donne e uomini viziati che si relazionano tra loro confrontando vite inutili, superficiali e capricciose, come accade alla protagonista della prima novella, Edmea Serrani, giovane pittrice di aspetto piacente ma totalmente incapace.
Maschere caratterizzate da atteggiamenti frivoli che la Guglielminetti immortala in frammenti di vita quotidiana, descrivendo il loro banale perbenismo con l’aiuto di una scrittura audace, intelligente e schietta.
Per le femministe da salotto:
Maria Messina fu una scrittrice molto attiva nei primi decenni del Novecento, ma oggi quasi completamente dimenticata. Ci pensano però le Edizioni Croce a ripubblicare, in veste moderna, una delle sue opere più celebri, “Un fiore che non fiorì”, considerato il capolavoro della Messina ed uscito per la prima volta nel 1923.
La storia di Franca Gaudelli, giovane fiorentina alle prese con feste, partite a tennis e giornate di svago assieme alla migliore amica Fanny e ai suoi coetanei – anche di sesso maschile –, viene raccontata dalla scrittrice palermitana con l’intento di riflettere su una tematica molto importante, specie negli anni in cui venne pubblicato il romanzo. Franca, che a causa del lavoro di suo padre deve lasciare Firenze per trasferirsi in un paesino siciliano, incontrerà nell’isola quello che fu un piccolo flirt dei mesi passati, Stefano. Quest’uomo, però, così come tutta la sua famiglia, non vede di buon occhio la ragazza, né tantomeno le sue abitudini di donna libera e indipendente, tanto che cercherà di escluderla ed emarginarla. Franca, in preda all’angoscia, tenterà in extremis di cancellare il proprio passato e la propria identità, provando a recuperare un modello di donna più tradizionale. Dunque, alla luce del dramma della Gaudelli, la domanda chiave del romanzo è: può una donna aspirare al matrimonio, alla maternità e alla costruzione di una famiglia, pur mantenendo intatta la propria libertà e una sana voglia di indipendenza? Al lettore l’ardua sentenza.
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