Friedrich Overbeck, “Italia e Germania” (1928)

Italia e Germania a raffronto. Una storia con i se che parla anche al presente

Sabino Cassese racconta come sarebbe oggi il nostro paese se nei momenti di svolta si fosse verificato qui ciò che è accaduto a Berlino

Professor Cassese, Italia e Germania hanno due storie parallele. Ambedue arrivano tardi all’unificazione, noi nel 1861, la Germania un decennio dopo. Ma la Germania sembra averci sempre sopravanzato, e ora, pur avendo fondato con noi l’Unione europea, è nel gruppo di testa, mentre noi siamo nel gruppo di coda della Comunità.

 

Paragone interessante, che va fatto cominciando da un noto dipinto del 1928 di Friedrich Overbeck, che si può ammirare nella Neue Pinakothek di Monaco di Baviera. Il dipinto è intitolato “Italia e Germania”, la cui amicizia è simboleggiata da due giovani donne in atteggiamento affettuoso. Le due storie hanno avuto tanti parallelismi, tra cui le due parentesi autoritarie, quella fascista, durata un ventennio, e quella nazista, durata un dodicennio. Ma le propongo un esercizio singolare, visto che siamo in tempi di bilanci, quello di fare una controstoria o anche una storia immaginaria o ipotetica, una “storia con i se”, prendendo i grandi tornanti delle due vicende e ipotizzando quel che sarebbe accaduto in Italia se, nei momenti di svolta, avessimo potuto registrare in Italia quel che è accaduto in Germania.

 

Facciamolo: è un esercizio istruttivo.

 

Comincio dalla fondazione, dovuta in Italia a Camillo Cavour e in Germania a Otto von Bismarck. I due erano praticamente coetanei, Cavour essendo nato nel 1810, Bismarck nel 1815. Ma la nostra unità è stata funestata dalla morte, dopo pochi mesi, del fondatore, che aveva appena superato i cinquanta anni di età, mentre Bismarck ha retto con mano ferma (era il “cancelliere di ferro”) il governo della Germania unita (l’Impero) per un ventennio dopo l’unificazione (è poi vissuto ancora otto anni). Pensi quanto diversa sarebbe stata la nostra storia se Cavour avesse governato l’Italia unita dal 1861 al 1881!

  

Continuiamo: quale altro tornante?

 

Per più di un decennio, lo stato italiano dovette affrontare il problema del cosiddetto brigantaggio nelle zone meridionali. Non mi interessano qui le componenti del ribellismo meridionale, quanto il modo in cui reagì lo stato, con leggi speciali poco rispettose dei princìpi liberali e con un esteso uso dell’esercito in funzione di mantenimento dell’ordine pubblico. Questo ebbe due effetti. Il primo fu di inserire nello stato liberale elementi autoritari che vennero ripresi e sviluppati in periodo fascista. Il secondo fu di indebolire l’esercito, che poi non seppe combattere nelle guerre africane, in Eritrea, Somalia, Abissinia, Sudan e Libia (mi chiedo se l’uso esteso che dei militari si fa in Italia in questo momento non sia anch’esso da considerare negativamente, ai fini dell’efficienza di un esercito con funzioni difensive).

 

Pensi ora alla potenza militare tedesca. Bismarck era stato cancelliere prussiano per quasi un decennio, quando la Germania, nel 1871, fu unificata, così come Cavour era stato primo ministro del Regno di Sardegna e Piemonte per quasi un decennio. La forza dell’esercito prussiano, forse la prima forza militare del continente, si manifestò con la vittoria di Sedan sulla Francia, tanto che l’imperatore Guglielmo I fu incoronato a Versailles. Noi poi ci lamentiamo delle debolezze del nostro stato…

Che dipendono, però, anche dai governi.

Stavo passando proprio a quelli. In 157 anni dall’Unità, noi abbiamo avuto 130 governi. Se toglie il ventennio dominato da un solo governo, quello di Mussolini, quasi un governo per anno. In 147 anni dall’Unità tedesca, lì hanno avuto poco più di una cinquantina di governi, cioè circa un terzo dei governi italiani. Quindi, maggiore continuità di indirizzi governativi. Pensi a come sarebbe stata la storia italiana se avessimo avuto una continuità di azione politica dello stesso tipo.

Ma i governi debbono, a loro volta, poter contare su buone burocrazie.

Anche qui le nostre storie parallele dicono qualcosa. L’aristocrazia terriera prussiana e poi tedesca, gli “Junker”, fornì i vertici civili e militari dello stato tedesco. Anche Bismarck proveniva da quella aristocrazia. In Italia, la classe dirigente settentrionale si dedicò all’industria, quella meridionale si divise in due: l’alta aristocrazia terriera continuò a vivere di rendita sui latifondi, la piccola e media borghesia cominciò a vivere di posti statali. Se l’Italia avesse avuto vertici amministrativi come quelli prussiano-tedeschi, la nostra storia sarebbe stata interamente diversa. Oggi abbiamo un vertice “pane e nutella”, che guarda con disprezzo un inesistente vertice “caviale e champagne”, senza pensare che l’alternativa potrebbe essere “würstel e birra”.

C’è, poi, la cesura parallela della Costituzione italiana del 1948 e della “Grundgesetz” tedesca dell’anno successivo.

Parallelismo, sì, ma con grandi differenze. Noi la Costituzione l’abbiamo approvata, la citiamo ogni giorno, ma non l’abbiamo attuata in alcuni dei punti fondamentali. L’art. 46 dispone che “ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. I tedeschi hanno attuato la “Mitbestimung”, noi non abbiamo attuato la cogestione, per rispettare il potere centrale dei sindacati dei lavoratori. Non si deve anche a questo dato istituzionale la qualità del settore manifatturiero tedesco? E che dire dell’art. 47 della Costituzione, secondo il quale la Repubblica favorisce l’“accesso del risparmio popolare al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese”? Come sarebbe diversa l’Italia, se questo obiettivo fosse stato realizzato! Immagina quanta maggiore coesione sociale vi sarebbe stata? E che dire della legge sui partiti, che alla Costituente italiana si auspicava e che non abbiamo mai fatto andare avanti, mentre la “Parteiengesetz” tedesca risale al 1967 ed è stata più volte modificata? Ancora una volta, se una legge avesse assicurato un ordinamento democratico all’interno dei partiti, pensa che si assisterebbe oggi alla loro “liquefazione”?

 

Ma è solo questione di politica e di economia, o la storia è anche determinata da fattori ideali e culturali?

 

Certo, e anche su questi si potrebbe costruire una bella storia con i se. Negli anni tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento in Italia abbiamo avuto grandi intellettuali: Giacomo Leopardi, Carlo Cattaneo, Francesco De Sanctis, per citarne solo tre. Anche la Germania ha avuto uomini di cultura della stessa altezza: pensi solo a Georg Wilhelm Friedrich Hegel e ai fratelli Humboldt. Dove sta la differenza? Nel fatto che Wilhelm von Humboldt non si limitò a scrivere importanti opere linguistiche e filosofiche, ripensò anche il modello di insegnamento superiore, fondò all’inizio dell’Ottocento l’Università di Berlino, che ora prende il suo nome, e in questo modo influenzò l’istruzione superiore di tutto il mondo (noi raccontiamo che l’università nasce in Italia e Francia nel medio evo, ma in realtà il modello universitario moderno nasce in Germania all’inizio dell’Ottocento). Se in Italia avessimo avuto un sistema di ricerca e insegnamento superiore dell’efficacia di quello tedesco, non pensa che la storia italiana sarebbe stato diversa?

 

Ma l’Italia ha un’ulteriore palla al piede: la disunione economica a 157 anni dall’unificazione politica, per parafrasare il titolo di un noto saggio di Pasquale Saraceno.

 

Anche qui, un po’ di storia con i se sarebbe utile: se l’Italia avesse concentrato le risorse a favore del Mezzogiorno nello stesso modo in cui la Germania Ovest ha fatto a favore di quella dell’Est, il divario nord-sud italiano si sarebbe almeno attenuato tanto quanto quello tedesco tra ovest ed est.

 

Caro professore, ma la sua storia “con i se” butta un’ombra di pessimismo su tutti i passaggi della nostra storia. Siamo sempre indietro?

 

Sbagliato disperare. Bisogna nutrire “ragionevoli speranze” (come insegnava Paolo Rossi, e le ho più volte detto). Questo per due motivi. Il primo è che è andata male, ma poteva andare peggio. Il secondo è che l’Italia (o, meglio, la penisola italiana), a differenza delle grandi civiltà dell’area mediterranea, è riuscita più volte a risorgere. Pensi, per fare altri paragoni, alle grandi civiltà mesopotamiche, egiziana, greca, o anche a quelle più lontane, azteca, maya. Sono fiorite una sola volta. Se va in quei paesi, vede le vestigia solo del secolo o dei secoli in cui si sono affermate e sviluppate. In Italia, ci sono i segni della civiltà romana, di quella medioevale, di quella rinascimentale, di quella barocca, della rinascita che chiamiamo “miracolo economico”. Basta leggere libri come quelli Emanuele Felice (Ascesa e declino. Storia economica d’Italia, Mulino, 2015 e Storia economica della felicità, Mulino, 2017) o di Andrea Giardina (Storia mondiale dell’Italia, Laterza, 2018), per rendersi conto di questi cicli numerosi di fioritura dell’Italia. Allora, speriamo.

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