In Spagna vince Sánchez
Il Partito socialista è primo alle elezioni, ma per formare un governo potrebbe dover fare compromessi dolorosi con gli indipendentisti catalani. Il crollo dei conservatori e l'arrivo di Vox
L’ex premier spagnolo e leader del Partito socialista, Pedro Sánchez, è il vincitore delle elezioni generali di stanotte in Spagna. Il suo PSOE è la prima forza politica del paese, e la coalizione di sinistra composta dai socialisti e da Podemos (denominazione elettorale: Unidas Podemos) è di molti seggi avanti rispetto alla coalizione di destra composta da Partito popolare, Ciudadanos e Vox, il partito di estrema destra. Questo significa che Sánchez ha altissime possibilità di tornare a essere presidente del governo, ma con difficoltà notevoli.
Socialisti e Podemos, assieme, otterrebbero 165 deputati. Non saranno sufficienti per la maggioranza assoluta del Parlamento, che ammonta a 176 seggi, e probabilmente non sarà sufficiente nemmeno aggiungere i voti degli autonomisti baschi e valenciani, che hanno sostenuto Sánchez anche durante l’ultima legislatura. La coalizione di sinistra potrebbe trovarsi a negoziare per formare il governo con uno o più partiti di indipendentisti catalani (Erc di Oriol Junqueras, attualmente in prigione per i fatti del referendum del 2017, oppure JxCat di Carles Puigdemont, attualmente in esilio), che hanno ottenuto un eccellente risultato, e questo significa: lunghi negoziati, e forse perfino uno stallo.
Il Partito socialista è rimasto in linea con le aspettative dei sondaggi: ha ottenuto poco meno del 30 per cento dei consensi e 123 deputati, ed è di gran lunga la principale forza politica della Spagna. E’ un successo importante per Sánchez. Al tempo stesso, per il Partito socialista adesso comincia la sfida di formare un governo con alleati riottosi, che durante la scorsa legislatura hanno paralizzato l’attività del Parlamento e provocato la caduta del governo conservatore di Mariano Rajoy l’anno scorso.
A destra si registrano due movimenti paralleli. Il Partito popolare ha ottenuto il peggior risultato della sua storia, ed è passato dal 33 per cento del 2016 al 16 per cento di stanotte. Pablo Casado, leader della formazione, ha spostato lo storico partito conservatore molto a destra, nel tentativo di rincorrere gli estremisti di Vox, ma è stato punito.
Vox, il gran spauracchio di queste elezioni, è entrato in Parlamento con il 10 per cento dei voti e 24 deputati. Per un partito che un anno fa era poco più di uno zerovirgola nei conteggi dei sondaggisti, è un risultato eccezionale. Eppure è leggermente inferiore alle aspettative (i sondaggi parlavano di 30 seggi circa; oggi il Pais aveva perfino preso in considerazione la possibilità che il “voto segreto” a favore degli estremisti avrebbe dato loro 50 seggi in Parlamento). Soprattutto, l’ascesa di Vox ha cannibalizzato il resto della coalizione di destra.
Il progetto moderato di Albert Rivera e di Ciudadanos deve essere rimandato ancora una volta: con 57 deputati il partito centrista migliora il suo risultato (erano 32 nel 2016) ma non riesce a essere centrale nella vita politica spagnola. Situazione speculare per Podemos, che con 42 deputati cala drasticamente rispetto al 2016, ma probabilmente sarà fondamentale per la formazione dell’esecutivo.
Mentre la destra spagnola, più divisa che mai, comincia già a parlare di ricostruzione (e tutti si chiedono che tipo di opposizione intenda fare Vox), il paese probabilmente ha davanti un’altra legislatura di partiti deboli.
In base ai numeri, c’è una sola coalizione possibile capace di formare un governo senza l’aiuto degli indipendentisti: sarebbe quella tra i due partiti che nel corso della campagna elettorale si sono dimostrati i più moderati, il Partito socialista e Ciudadanos. Peccato che Albert Rivera abbia promesso solennemente a inizio campagna che non si sarebbe mai alleato con Sánchez, e che il leader socialista abbia fatto lo stesso qualche giorno fa.
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