Così la Germania trasforma gli immigrati in alleati della crescita
Tutti i vantaggi del sistema duale tedesco, in cui lavoro e studio non sono alternati ma integrati. Parla Wössmann
Berlino. Quando si è laureata in Economia aziendale alla Freie Universität Berlin, Petra aveva alle spalle cinque anni di esperienza come impiegata in un’azienda berlinese. Petra aveva lasciato il liceo a 16 anni senza conseguire la maturità ma il Mittlere Reife: un titolo che attesta la frequenza di una scuola tedesca per almeno dieci anni. Poi era entrata da apprendista in azienda, alternando esperienza su campo a lezioni di formazione professionale. Finiti i due anni d’apprendistato, Petra aveva dovuto lavorare per altri tre anni prima di potersi iscrivere all’Università. Per quanto non comune, il suo percorso è l’indice di un fenomeno in crescita in Germania: per ogni Petra e ogni Florian che alla formazione professionale preferiscono l’Università, c’è un Ahmed o una Fatima pronti a rimpiazzarli – giovani siriani o iracheni spesso che in tasca hanno un mestiere ma non il titolo per esercitarlo. Secondo l’Independent, che cita economisti tedeschi, sono 400 mila i rifugiati mediorientali che, appresa la lingua, cercano di farsi spazio nel sistema duale tedesco. Proprio quello che Petra si è messa alle spalle, colmando il fossato in apparenza incolmabile fra chi in Germania ha fatto il Gymnasium e ha in tasca l’Abitur (e può quindi iscriversi all’Università) e quelli che sono andati in una scuola diversa.
Come per esempio una Hauptschüle, un istituto a carattere professionale al quale possono iscriversi i bambini dopo la quarta elementare. A 14 anni il piccolo Schüler (scolaro) ottiene un diploma che gli apre le porte a due anni di formazione aziendale. Dura invece sette anni la Realschüle: più simile a un istituto tecnico, non instrada da subito al lavoro. Dopo cinque anni di studi, agli scolari coi voti più alti sarà permesso di prendere il Fachabitur, una maturità minore con cui non si potrà studiare Legge o Filologia germanica ma ci si potrà iscrivere a lauree brevi oppure proseguire nella formazione professionale – quella in cui oggi si contano 44 mila profughi, secondo l’Independent. Agli scolari più brillanti e motivati, la Realschüle permetterà anche di studiare un anno di più per conseguire l’Abitur vero e proprio.
Altre scuole e istituti arricchiscono il panorama tedesco ma quel che conta è capire la principale differenza con il sistema italiano: nel 1962 Dc e Psi abolirono le scuole di avviamento professionale istituendo una scuola media unificata con accesso a tutte le scuole superiori italiane. Il sistema tedesco, invece, “instrada i bambini già dalle elementari, secondo uno schema tradizionale nei paesi di lingua germanica”. Direttore del centro per l’Economia dell’educazione presso l’Ifo di Monaco e docente di Economia all’Università della capitale bavarese, Ludger Wößmann è fra i maggiori esperti del settore in Germania. Al Foglio, curioso di capire quali siano i pro e i contro di un sistema scolastico a compartimenti quasi stagni, il professore spiega che “la transizione dagli studi al lavoro per chi frequenta scuole non ginnasiali è di solito molto fluida, e questo si deve non solo alla qualità degli studi compiuti ma soprattutto al sistema duale scuola-lavoro”. Un meccanismo al quale si accede da ragazzi: circa la metà degli scolari tedeschi è già in formazione professionale attorno ai 15/16 anni di età, segnala Wößmann. Fra i punti di forza del sistema c’è l’apprendistato: “Il giovane lavora per un’azienda per quattro giorni la settimana con una paga bassa”, ma in queste ore il governo sta discutendo se alzarla gradualmente fino a 623 euro al mese nel 2023, “e il quinto giorno frequenta una scuola di specializzazione, ricevendo una formazione su misura per la posizione ricoperta”. Dopo tre anni il giovane ha in tasca il diploma di apprendistato. “Esistono qualcosa come 350 titoli e specializzazioni differenti, dall’idraulico all’operaio specializzato, da impiegato ad artigiano”. Instradato da piccolo e formato appena più grandicello, il giovane tedesco sembra avere tutta la vita pianificata davanti.
Ammettiamo però che una giovane apprendista, come Petra, voglia tornare sui suoi passi e frequentare l’Università: “In quel caso dovrà frequentare una scuola per due anni per ottenere il diploma necessario”. L’alternanza fra fasi di studio e fasi di lavoro non è la regola, riconosce Wößmann: “C’è chi lo fa: ma si stratta di una minoranza”. Il sistema duale tedesco, in cui lavoro e studio non sono alternati ma integrati, offre però dei vantaggi, insiste l’economista ripartendo dal concetto di fluidità. Oltre a essere ben preparati, a fine apprendistato il giovane operaio o l’apprendista artigiano un lavoro di solito ce l’ha. “Le aziende che offrono posti di apprendista sono quelle che di solito hanno posizioni da coprire”. E’ dunque l’offerta sul mercato a modellare i giovani. Postilla importante: le aziende che aprono agli apprendisti non godono di vantaggi fiscali o contributivi. Il meccanismo tedesco è molto ben collaudato “e oggi le aziende vorrebbero impiegare un numero di apprendisti più grande di quanto il mercato offra”. La scarsità di giovani è l’esito sia dell’invecchiamento della popolazione, sia “della crescente tendenza dei giovani verso il Gymnasium e l’Università”. Perché anche il sistema duale non è privo di pecche: la diseguaglianza in partenza nel sistema educativo fra scuole di livello differente “si traduce in una diseguaglianza nella vita reale”, spiega ancora l’economista, segnalando che chi riceve un’educazione meno solida avrà spesso uno stipendio più basso. “Anche la mobilità intergenerazionale ne esce diminuita”. Traduzione: agli istituti tecnici si accede soprattutto seguendo le orme dei genitori. Esiste poi il rischio di ricevere una formazione troppo specializzata per cui se per motivi tecnologici o strutturali un settore chiude, i suoi addetti si ritrovano a spasso. “Alcune mansioni possono diventare obsolete: 20 anni fa in Germania abbiamo formato migliaia di sarti e costumisti, di cui oggi nessuno ha bisogno”. Il sistema tedesco dell’apprendistato, osserva Wößmann, riflette una tradizione che parte dal Medioevo, “ed è perfetto per un’economia statica: l’alta specializzazione invece è messa in discussione dall’aggiornamento tecnologico dei nostri giorni”. Resta il fatto che il mercato del lavoro in Germania tira, che la richiesta di lavoratori specializzati è molto alta, e che decine di migliaia di rifugiati puntano a entrare nel sistema. “Se il tasso di disoccupazione è del 5,2 per cento, per chi ha fatto un apprendistato è al 4 per cento e scende al 2 per i laureati. Sale al 20 per cento per chi è privo di formazione professionale”. Il governo sta anche lavorando a un ddl per facilitare l’immigrazione di lavoratori stranieri “esperti” ma privi di qualifiche formali, una misura – secondo le associazioni degli imprenditori anche troppo timida – per rispondere alla fame di lavoratori delle aziende tedesche. Wößmann spera che funzioni ma non si fa troppe illusioni: “Temo che in giro per il mondo ci siano troppi pochi lavoratori con qualifiche utili a soddisfare la richiesta di lavoratori specializzati di Germania”.
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