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Perché il conflitto d'interessi in versione grillina è anticostituzionale

Annalisa Chirico

Una limitazione delle responsabilità pubbliche su base patrimoniale sarebbe in contrasto con la Costituzione, spiegano Flick e Pinelli 

Roma. E’ cauto il presidente emerito della Consulta Giovanni Maria Flick: “Si leggono soltanto indiscrezioni di stampa, aspetterei di conoscere i testi ufficiali. Di certo, una limitazione delle responsabilità pubbliche su base patrimoniale sarebbe in contrasto con la Costituzione. Un tempo si diceva: ‘non può fare politica chi non ha soldi’, oggi si afferma il contrario”. Il tema è il conflitto d’interessi, vexata quaestio, anche se oggi le tre paroline non evocano l’immagine dell’eterno Cavaliere, Berlusconi, ma i rapporti opachi tra il M5S e la società privata di Davide Casaleggio. Secondo Cesare Pinelli, professore di diritto costituzionale presso l’Università La Sapienza, “l’elemento più innovativo mi sembra l’introduzione del conflitto d’interessi digitale. Finalmente si assiste, anche a livello internazionale, ad un principio di reazione rispetto ai rischi manipolatori delle procedure democratiche. Se il titolare di una carica pubblica dipende in tutto o in parte, in sede di elezione o nelle proprie scelte politiche, da società private che utilizzano sistemi di profilazione web, quel rapporto va regolato alla luce del sole. In passato, quando si parlava di privatizzazione della politica per via della discesa in campo di un noto imprenditore, si conosceva perlomeno la faccia del diretto interessato. Oggi invece tutto è avvolto da una coltre di mistero, Luigi Di Maio sembra l’amministratore delegato di un ente virtuale, il M5s, il cui vero padrone è un signore, unico detentore dei big data, che decide vita e morte di ogni eletto. Chiunque abbia a cuore i fondamenti di una democrazia non può che esserne preoccupato”.

    

Un interesse privato rischia di influenzare l’adempimento dei doveri istituzionali? “I processi alle intenzioni sono sempre sbagliati ma siamo in presenza di totale opacità. Si vuole trasparenza? Valga per tutti”. Gli eletti grillini versano mensilmente 300 euro all’Associazione Rousseau di Casaleggio, oltre un milione di euro l’anno che dovrebbero essere destinati al “mantenimento delle piattaforme tecnologiche”, ma il Garante della privacy ha sanzionato Rousseau per l’obsolescenza dell’infrastruttura. “Questa vicenda la dice lunga sull’attendibilità di certe procedure consultive. Facebook ha chiuso recentemente 23 pagine di fake news, la metà di sostegno a Lega e M5s. La Corte suprema statunitense ha dato il via libera alla class action contro Apple per il monopolio delle app”. Tornando all’Italia, la proposta di legge grillina, a firma di Anna Macina, che approderà in commissione Affari costituzionali della Camera il prossimo 29 maggio, prevede che le cariche di governo e dei componenti delle Autorità di garanzia siano incompatibili con la proprietà, il possesso o la disponibilità di partecipazioni superiori al 2 percento del capitale sociale di un’impresa che svolga la propria attività in regime di autorizzazione o concessione rilasciata dallo stato.

   

“Una riforma del conflitto di interessi è necessaria, la normativa del 2004 si è rivelata insufficiente. Una democrazia non può vivere senza trasparenza. Esistono due strade: o si afferma il principio in base al quale chi è titolare di interessi rilevanti deve scegliere tra il settore pubblico o privato, tertium non datur; oppure, secondo una modalità diffusa all’estero, s’introduce il blind trust, vale a dire l’affidamento a una ‘gestione cieca’ dei beni e delle attività patrimoniali. Non ha senso invece fissare soglie arbitrarie come quella del 2 percento: escluderebbe tutti, fuorché i piccoli azionisti. L’accesso alle cariche pubbliche non può essere limitato sulla base del patrimonio, sarebbe incostituzionale”. La proposta Pd, a firma di Emanuele Fiano, regola il blind trust e individua i settori strategici a rischio di conflitto di interessi. “Questo approccio è più ragionevole. S’individuino, per una vigilanza preventiva, i campi sensibili, come comunicazioni, difesa, energia, credito”. L’incompatibilità per i patrimoni oltre i 10 milioni di euro è scomparsa. “Era puramente vessatoria e demagogica. La ricchezza non può di per sé inibire l’accesso a cariche pubbliche, non esiste in nessuna parte del mondo”. E’ parsa ai più come una trovata volta a scoraggiare la discesa in campo di un editore influente del calibro di Urbano Cairo. “La politica ha bisogno di persone di buona volontà. La parabola del proprietario di Rcs, che non conosco, non mi sembra paragonabile ad altre esperienze del passato. Ma in questo caso parlo da cittadino e da osservatore”.