Il modello Emiliano, un situazionista al governo della Puglia
Oggi le primarie per scegliere il candidato del centrosinistra alle regionali. Politica, economia. Si può permettere il Pd di scommettere sul governatore uscente?
Roma. “Non c’è nessuno che conosce meglio di me questa regione e non c’è nessuno che ha commesso gli errori che ho commesso io, dunque sono l’unico che può correggerli”. L’autodenuncia di Michele Emiliano, magistrato-governatore situazionista della regione Puglia, ex iscritto al Pd per volontà del Csm, s’è compiuta di fronte al plaudente pubblico di Taranto, accorso pochi giorni fa per salutarlo in attesa delle primarie di oggi, domenica 12 gennaio.
I vertici del Pd regionale sono con lui, compresi quei sindaci indicati come fulgido esempio di un progressismo meridionale in grado di ribaltare – così dicono gli ottimisti – i luoghi comuni sul Mezzogiorno, politico e non. Da Antonio Decaro, sindaco di Bari, a Carlo Salvemini, sindaco di Lecce. Si sono fatti vedere tutti in campagna elettorale al fianco di Emiliano, il che dunque fa sorgere qualche dubbio sul fulgido esempio e il progressismo eccetera eccetera di cui sopra. In silenzio anche il Pd nazionale, che sul modello Emiliano tace costantemente.
Eppure, in questi anni, il magistrato in aspettativa ha dato più di un motivo per intervenire o quantomeno per far alzare un sopracciglio alla timida segreteria Zingaretti. Dalla gestione dell’Ilva ai vaccini, dal Tap alla Xylella. Non c’è questione pugliese sulla quale Emiliano non si sia mosso con il passo deciso del situazionista, prendendo una posizione e cambiandola dopo ore, giorni o pochi mesi. Per non parlare dei risultati alle elezioni: il Pd pugliese è un disastro e Emiliano ne è il più autorevole rappresentante. Basta dare un’occhiata al curriculum del magistrato per vedere che si scrive Emiliano ma si legge Puglia, e viceversa: per dieci anni, dal 2004 al 2014, è stato sindaco di Bari; nel 2007 è stato eletto segretario regionale del Pd e c’è rimasto fino al 2009, poi dal 2009 al 2014 è stato presidente regionale del Pd. Non esiste in Puglia un politico di centrosinistra così longevo e potente. E neanche uno in grado di compiere simili disastri politici, come lo stesso Emiliano ha ammesso. E i risultati si vedono. Alle Europee il M5s è arrivato primo con il 26,29 per cento, come alle Politiche, seguito da Lega al 25,28 (cinque anni fa era allo 0,6 per cento), mentre il Pd è arrivato solo terzo con il 16,64 (sotto anche la media dell’Italia meridionale, ferma al 17,85, e ancora più sotto il risultato nazionale, pari al 22,69 per cento). Al sud il Pd pugliese non ha eletto neanche un europarlamentare. Ma Emiliano, dicono i vertici del Pd, regionale e nazionale, può continuare a governare.
Quell’Emiliano che contiene moltitudini, nel senso che dice tutto e il contrario di tutto. E, attenzione, in molti casi, nel suo dire tutto e il suo contrario, riesce comunque a mantenere una posizione discutibile. Sui vaccini, ben prima che se ne occupasse il governo di Paolo Gentiloni con il decreto Lorenzin, due consiglieri regionali, Fabiano Amati del Pd (oggi candidato alle primarie contro Emiliano e sostenuto anche da Carlo Calenda) e Sabino Zinni della lista Emiliano sindaco di Puglia, avevano promosso una legge regionale per introdurre l’obbligo vaccinale in Puglia. Quando poi la questione è diventata nazionale, Emiliano ha incontrato una delegazione di No Vax e definito il decreto vaccini di Beatrice Lorenzin un “errore politico molto grave”, offrendo il sostegno della regione a eventuali ricorsi contro la legge, che secondo lui avrebbero avuto “buone prospettive di successo”. “Perché la legge ha molti errori, molti ‘vulnus’ e punti di eccesso che potrebbero lasciare alla Corte la possibilità di modificare, in tutto o in parte, gli errori commessi dal Parlamento”. Insomma, Emiliano, situazionista uomo di legge, stava offrendo una consulenza legale gratuita ai cittadini contrari alla copertura vaccinale. Una settimana dopo, però, ha cambiato idea: “Posso solo giudicare se una legge è fatta bene o è fatta male e io mi sono limitato a dire che la legge non è scritta benissimo”. Insomma, “io dei vaccini parlo solo con i giuristi, non posso parlarne con i medici non avendo competenze in materia”.
L’approccio di Emiliano è lo stesso su numerose questioni della regione Puglia: parla di cose che non conosce, ma in abbondanza. Poi, a un certo punto, essendo lui un situazionista (e il situazionista è per definizione senza memoria, non perché la rifugge ma perché semplicemente non ne ha), cambia idea e difende quella nuova con la stessa intensità della precedente. Prendiamo la Xylella. “Dal 2013 al 2016 non è stato fatto nulla, anni persi mandando la palla a Roma, dove però la palla è stata nascosta. Mi riferisco anche al piano Silletti”, ha detto Emiliano lo scorso agosto. Peccato che il piano del generale Silletti, mai attuato, sia stato ostacolato in qualsiasi modo, al punto che nel 2015 lo stesso generale è stato pure indagato dalla procura di Lecce (salvo poi ottenere l’archiviazione dopo ben 4 anni).
Il piano del commissario straordinario Giuseppe Silletti prevedeva una strategia di contenimento della diffusione della Xylella fastidiosa e il conseguente abbattimento mirato degli ulivi malati per evitare il contagio: “Un provvedimento di queste proporzioni e che a noi sembra sproporzionato. Per il vero, come noto, a noi sembra sproporzionato anche il taglio delle piante malate perché pensiamo che sia necessario trovare la maniera di curarle”, diceva Emiliano nel luglio 2015. A ottobre dello stesso anno, un nuovo aggiustamento di rotta, parlando con gli agricoltori: “Semmai qualcuno ha elementi per dire che la Xylella non esiste lo dica, altrimenti le linee guida dell’Ue prevedono la quarantena e gli abbattimenti degli alberi. E su questo la Regione non può che obbedire alle leggi. Non ci sono alternative”. A novembre poi è diventata colpa dell’Unione europea, con Emiliano tornato a mettere in discussione il piano di eradicazione degli alberi malati: “La Xylella non è nata in Puglia, ma è stata importata dall’estero, a causa degli errori dell’Ue nel predisporre gli embarghi delle piante ornamentali provenienti dal sud America. Speriamo si riesca a trovare una cura che non passi solo dalla eradicazione degli alberi. Perché questa è una misura al limite dell’insopportabile dal punto di vista dei sentimenti, naturalistico, ma soprattutto temiamo possa non essere sufficiente”.
Emiliano, lo stesso che ad agosto del 2019 s’è lamentato degli anni persi per strada sulla vicenda Xyella, a dicembre 2015 esultava alla notizia dell’inchiesta della procura di Lecce che aveva bloccato il piano Silletti (“una liberazione”, disse): “Finalmente avremo a disposizione dati tecnici e investigativi per discutere con l’Unione Europea della strategia finora attuata per contrastare la Xylella, fondata essenzialmente sull’eradicazione di massa di alberi malati e sani”. Insomma dal 2015 a oggi, Emiliano ha distribuito le colpe un po’ a tutti, tranne che a se stesso. Ue, governo. Poi, nel 2018, l’Italia è stata deferita alla Corte di giustizia e il magistrato governatore ha di nuovo cambiato rotta: “Chiediamo al presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, che è ministro dell’Agricoltura ad interim, un decreto legge immediato che ci consenta di rispettare le direttive europee e il decreto Martina, per accelerare le procedure di abbattimento degli alberi infetti”. Emiliano, situazionista senza memoria, ha pure inaugurato per la seconda volta il Frecciarossa che fa tappa a Taranto e che aveva soppresso, come ha raccontato Annarita Digiorgio sul Foglio martedì scorso, prima spiegando che non era un treno indispensabile, e poi, una volta ripristinato, precisando che la fermata a Taranto è “un’importante connessione per la città”.
Emiliano è così, vede gente, dimentica cose. A novembre, su domanda precisa di Alberto Brambilla, Emiliano ha affermato di non aver mai detto di volere la chiusura dell’ex Ilva, i cui proprietari, Mittal, sono venuti in Italia “per far cadere il governo Conte”. Falso, basta farsi un giro su Internet per recuperare il pensiero dell’Emiliano prima dello sdoppiamento: “Una fabbrica che uccide le persone va chiusa”, ha detto a luglio al Fatto quotidiano. Non solo adesso non va chiusa quella fabbrica che un tempo era “totalmente illegale”, ma il governatore dice di voler pure diventare socio, come regione, dell’ex Ilva. Emiliano è insomma così: vuole decarbonizzare l’Ilva ma è anche contrario al gas. E’ infatti sempre stato in prima linea contro il Tap. Anche qui, come nel caso di Ilva, il magistrato s’è dimenticato di quel che aveva detto e ha piroettato: “Io non ho mai fatto campagna No Tap, lei è male informata, si riveda un po’ tutti i filmati e ne prenda atto”, ha detto a novembre rispondendo a una domanda sulle sue posizioni proto-grilline.
In realtà Emiliano è stato uno dei più feroci oppositori del gasdotto che deve portare 10 miliardi di metri cubi di gas l’anno dall’Azerbaijan in Europa, al punto da definire una “ritirata indegna” la presa d’atto del M5s dell’impossibilità di bloccare l’opera. La regione Puglia ha presentato, e perso, un ricorso alla Corte costituzionale. I giudici hanno bocciato il ricorso ritenendo inammissibile il conflitto contro lo stato sollevato dalla regione. “La prepotenza di questa scelta è sotto gli occhi di tutti”, ha detto dopo la sconfitta Emiliano, sottolineando che era stata ignorata “la volontà delle popolazioni che non accettano, giustamente, l’approdo del gasdotto in una delle spiagge più belle del Salento”. Non solo: Emiliano ha paragonato il cantiere del Tap ai campi di sterminio nazisti: “Il cantiere di Melendugno sembra Auschwitz, se vedete le fotografie è proprio identico. Hanno alzato un muro di cinta con filo spinato, è impressionante”, ha detto in un’intervista. Martedì scorso ha esultato alla notizia dell’avvio dell’ennesimo processo (a maggio) sulla realizzazione del gasdotto: “Noi ci costituiremo parte civile a tutela della Puglia”.
Emiliano ha fatto delle amnesie un tratto politico, così come del trasversalismo. Solo che ha esagerato, come spesso gli capita. Nel 2015 offrì tre assessorati ai Cinque stelle, che rifiutarono, fino a poco tempo fa definiva i Cinque stelle un “partner ottimo per il nuovo Pd” (gennaio 2018). Nel settembre 2019 era così contento della nuova intesa fra Pd e grillini da rivendicare una primogenitura “dopo aver fatto tutto quello che potevo per favorire questa unione politica”: “Qui non si tratta di stare a galla, ma di fare una grande rivoluzione italiana: con un governo che rimetta al centro quelli che non contano niente, l’ambiente, la pace, la nostra capacità di tenere insieme giustizia per gli italiani e diritti per il mondo. È una cosa tosta, ma noi non ci possiamo fare risucchiare in quella parte del mondo fatta di egoisti senza visione. Le destre pensano di utilizzare la sofferenza a fini elettorali: noi dobbiamo essere così bravi da sfilargli questo argomento”.
Se adesso gli chiedete cosa pensa dei Cinque stelle, Emiliano vi risponderà come ha fatto nell’ottobre scorso: “Siamo quelli del rispetto delle istituzioni, rispettiamo gli avversari, i magistrati sempre e in ogni caso, siamo in grado di tenere insieme il mondo rivoluzionandolo ma senza farlo saltare in aria. In Puglia sia chiaro una cosa, con quelli che prima dicevano una cosa e poi ne fanno un’altra noi la maggioranza al primo turno non la faremo mai, se non ci chiedono scusa per tutte le cose che hanno detto contro di noi per poi rimangiarsi tutto. Avevano detto che avrebbero spostato il Tap, che avrebbero chiuso l’Ilva e non vogliono nemmeno aiutarci a decarbonizzarla. Io con gente così al governo non ci vado, sia chiaro e noi vinciamo le elezioni anche senza di loro, vi travolgeremo, travolgeremo le loro bugie, le chiacchiere, le infamità che vanno raccontando”. Insomma, con “quelli che prima dicevano una cosa e poi ne fanno un’altra” Emiliano non vuole averci niente a che spartire. Un’altra autodenuncia, grazie alla quale il governatore prende le distanze da se stesso. Capita a chi è troppo trasversale, così trasversale da cercare intese con i grillini salvo pentirsene o chi imbarca assessori nelle giunte del Pd che però poi sostengono candidati leghisti. E’ il caso di Leonardo Di Gioia, ex assessore all’Agricoltura, che durante le Europee ha fatto campagna elettorale per Massimo Casanova, proprietario del Papeete Beach e candidato con la Lega (eletto).
Il situazionista Emiliano non s’è fatto mancare una piroetta neanche sull’autonomia, tema caro alle regioni del nord ma che coinvolge anche quelle del Mezzogiorno. Nel 2017, ai tempi del referendum consultivo in Lombardia, Emiliano si lanciò: “Chiederò la stessa maggiore autonomia di Lombardia e Veneto” perché “sono convinto che la gestione locale sia più efficiente di quella nazionale”. “Le regioni governano completamente la vita delle persone”, disse Emiliano, mentre “lo stato si occupa di pochissime cose e lo fa senza avere connessioni con il territorio”. Il sud, diceva, “non può pensare di continuare a farsi mantenere dal maggiore reddito del nord per sempre, non è più accettabile l’idea che il Nord sostenga totalmente il Mezzogiorno: io non sono su posizioni diverse rispetto a Toti, Maroni e Zaia”. Pochi giorni dopo ed Emiliano aveva già piroettato: “Veneto e Lombardia hanno già vantaggi enormi ad esempio sul budget della sanità. Perché se Campania e Puglia recuperano la mobilità passiva loro falliscono, non reggono più i costi che hanno”. A luglio, nuovo attacco agli autonomisti, gli stessi che prima venivano elogiati con l’intenzione di imitarne le gesta: “Lombardia e Veneto si stanno prendendo la responsabilità di spaccare l’Italia per sovraccarico”. Così parlò l’Emiliano.
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