Il principio d'irrealtà dietro alla chat "The Shoah Party"
La vicenda del gruppo Whatsapp in cui tra minorenni ci si scambiava materiali pedopornografici e inneggianti all'odio, più che con i titoli sensazionali meriterebbe di essere letta con le parole del filosofo Mario Pezzella
Sembra che qualcuno abbia captato il segnale tv pirata di pornografia della tortura immaginato in “Videodrome”, il capolavoro di Cronenberg. Della vicenda della chat “The Shoah Party” so poco, e mi aspetto di saperne ancor meno finché dai titoli sensazionali non si passerà a prendere le misure della realtà. Ma merita un commento la frase della madre denunciatrice: “Ho scoperto l’inferno”. Frase banalissima, presa così; meno banale se la accostiamo a queste due terzine: “S’io credesse che mia risposta fosse / A persona che mai tornasse al mondo, / Questa fiamma staria senza più scosse. / Ma perciocché giammai di questo fondo / Non tornò vivo alcun, s’i’ odo il vero, / Senza tema d’infamia ti rispondo”. La fiamma parlante di Guido da Montefeltro può ruggire senza vergogna perché confida che Dante non risalirà mai dall’inferno a rivelare le sue miserie. E’ su un patto di questo genere che si reggono certe malebolge di internet, ma faremmo bene ad alzare gli occhi sul cerchio più vasto che le contiene. Il filosofo Mario Pezzella scrisse anni fa che “un qualsiasi telegiornale della sera, una normale serie di spot pubblicitari, abbondano di stupri appena dissimulati, di corpi lacerati, di feticci esibiti con baldanza e tripudio. Certo, se qualcuno passa – per così dire – all’azione, sono pronte per lui le fosse degli inferi (manicomi e prigioni), ora come ai tempi del signor De Sade: ma non è tanto il suo desiderio immorale a venire punito, quanto il suo rozzo realismo, che non ha saputo appagarsi della soddisfazione virtuale e fantasmagorica”. A tutto questo diede anche un nome: principio d’irrealtà.