Sono vent'anni che viviamo a Gotham City
L'instabile materia prima dell’umorismo è l’aggressione. Tutto sta a saperla maneggiare. E il Joker incarnato da Joaquin Phoenix non ha imparato quest’arte, così l'ordigno gli scoppia tra le mani, e nelle piazze
Lo so, lo so, arrivo tardi, quando tutti hanno già visto “Joker” o ne hanno sentito parlare così a lungo che gli è legittimamente venuto a noia. A mia discolpa posso dire che il film di Todd Phillips è ben più ritardatario di me: l’ascesa del ghignante arcinemico di Batman non fa che registrare a cose fatte, con diligenza notarile, un rovesciamento avvenuto molti anni fa, mentre eravamo distratti a rifarci il trucco nello specchietto retrovisore di idee ormai appannate. Era una vista rassicurante, tutto sommato. C’erano i presagi del “Mondo nuovo” di Huxley, poi nel 1985 arrivò “Divertirsi da morire” di Postman, e prima di lui Lipovetsky aveva scritto che la nostra è una società umoristica, e che il tono dominante di questo umorismo non è satirico o sarcastico, è semmai dolcemente nichilista. Credevamo, insomma, che la comicità fosse un mezzo di pacificazione, un gas fin troppo esilarante in grado di disperdere qualunque accenno di sommossa. Così, senza quasi accorgercene, ci siamo ritrovati in un mondo in cui il sarcasmo è diventato lo strumento principe della disgregazione sociale e del linciaggio, a cui ricorrono comandanti in capo e insorgenti in coda. Del resto, l’instabile materia prima dell’umorismo è l’aggressione, sublimata fino a renderla civilizzatrice. Tutto sta a saperla maneggiare. E il Joker incarnato da Joaquin Phoenix non ha imparato quest’arte. Ha le due componenti – una rabbia inarticolata, una risata che è un mero riflesso neurofisiologico – ma non sa combinarle in un’arma catartica. Così l’ordigno gli scoppia tra le mani, e nelle piazze. Saranno vent’anni che viviamo a Gotham City.