Unno vale unno
La realtà dimostra di avere un impatto civilizzatore sui barbari solo nei suoi poco auspicabili stress test – guerre, carestie – e talvolta nemmeno in quelli
Non c’è alternativa alla romanizzazione dei barbari, ha scritto ieri Giovanni Orsina sulla Stampa, ma nel nuovo governo accade l’inverso, ossia la barbarizzazione dei romani. Unno vale unno. Orsina affida le sue residue speranze alla “pietrosa realtà dei fatti” contro cui s’infrangeranno le vane promesse dei demagoghi. Pietrosa? Se proprio vogliamo usare una metafora minerale, i fatti somigliano oggi più che mai a certi cristalli prismatici: quando ci vai a urtare ti fai un male cane, ma avrai sempre mille facce trasparenti da cui guardarli per attribuire la colpa. La realtà ha un impatto civilizzatore solo nei suoi poco auspicabili stress test – guerre, carestie – e talvolta nemmeno in quelli. Insomma, la speranza di Orsina è chimerica come quella di chi come me sogna, un giorno, di vedere la regina Carfagna e Calenda effigiati in un mosaico come Giustiniano e Teodora. Il problema è quello, antico, dei vincitori militari che diventano sconfitti culturali: Graecia capta eccetera. Ma i nostri romani stanno disimparando il latino, specie quello giuridico. Riapro per l’occasione un libriccino del 1964 dello storico Pierre Riché, Les invasions barbares: “Ci sarebbe voluta alla guida dell’impero una forte personalità che imponesse con il suo genio non solo delle riforme strutturali ma un nuovo spirito; ma vedremo che, se l’Occidente non ha mancato di generali energici o di diplomatici abili, non ha conosciuto nessun ‘superuomo’. C’era un popolo in miseria pronto ad accogliere qualunque cambiamento, e un’élite che confidava nel suo passato e nella sua civiltà ma senza energia”. L’ho già detto che siamo spacciati?