Nulla è più definitivo del provvisorio
La crisi del parlamentarismo si deve allo sfasamento tra la lentezza delle sue procedure e la rapidità con cui marcia il mondo. Ma è vero anche il contrario, per inseguire un consenso effimero si provocano disastri
Nulla è più definitivo del provvisorio. Lo dicono in Francia da due secoli (il n’y a que le provisoire qui dure), ma l’arguzia ci sta così a pennello che la ascriviamo di volta in volta a Flaiano, a Prezzolini o ad altri padri putativi delle citazioni orfanelle. E’ uno di quegli aforismi vezzosi con cui amiamo commiserarci; e invece dovremmo studiarlo come una legge scientifica per decifrare il tempo fuor di sesto della politica. Dicono che la crisi del parlamentarismo si debba allo sfasamento tra la lentezza delle sue procedure e la rapidità con cui marcia il mondo. E’ vero, ma è vero anche il contrario. Per inseguire un consenso effimero, un’increspatura sull’onda dell’opinione, si assecondano maree che provocheranno devastazioni decennali: il voto impulsivo sullo scudo penale dell’ex Ilva, che metterà in fuga generazioni di investitori; quello sul processo imprescrittibile, che terrà in ostaggio intere vite; il taglio a vanvera dei parlamentari, presagio di lunghe e ancora vaghe sciagure. E’ una variante del paradosso relativistico dei gemelli, dove però entrambi i gemelli convivono in un solo onorevole. Uno sale sull’astronave di Montecitorio, dove preme bottoni alla velocità della luce; l’altro resta a terra a invecchiare, magari da eterno imputato. Il duplice regime temporale scatena a volte sintomi oscuri; e solo un Einstein potrebbe sbrogliare il paradosso del deputato che a bordo dell’astronave vota per il taglio dei parlamentari, annunciando al contempo che il suo gemello terrestre raccoglierà le firme per abrogarlo.