La partita di caccia è persa
La volpe Renzi, braccata, incita i cacciatori a sguinzagliare i loro cani anche contro le altre bestiole selvatiche a spasso su quel terreno sovrano che, un tempo, fu la politica
La partita di caccia è persa. A quasi vent’anni dalla morte del cinghiale a Hammamet, boccheggiante dopo la lunga rincorsa, la volpe Renzi, braccata, incita i cacciatori a sguinzagliare i loro cani anche contro le altre bestiole selvatiche a spasso su quel terreno sovrano che fu la politica, un tempo, prima che cadessero tutte le recinzioni erette a sua protezione. E li incita proprio in quanto cacciatori, per l’esattezza cacciatori di notizie di reato, uno dei poteri abnormi che il nuovo codice ha assegnato ai pubblici ministeri, e che è tra i presupposti operativi di quella funesta ideologia del “controllo di legalità” che ispira da almeno un quarto di secolo l’associazione venatoria nota come Anm. Non possiamo lamentarci, del resto, se la caccia al politico è regolamentata allo stesso modo delle altre: la legge italiana permette l’accesso dei cacciatori ai fondi privati a prescindere dalla volontà del proprietario, a meno che questo si doti di costosissime recinzioni, e quel che vale per i fondi agricoli dovrà pur valere per i fondi finanziari. La giurisdizione dei pm sulle aree venatorie della vita pubblica italiana è sempre più vasta, e nessun animale della fauna – sedata e addomesticata, ormai, la iena ridens Berlusconi – si azzarda più a sfiorare il pensiero di assegnarle un confine. Come potrebbero, dopo tutto, povere bestioline spaurite? Il meglio che possono fare è aizzare i cani un po’ a destra e un po’ a manca, in una lotta fratricida, finché tutto quel che resterà sarà una distesa di carcasse spolpate.