Il leninista via Twitter della rivoluzione conservatrice
Marco Gervasoni, autore del marinettiano “Sea Watch bum bum”, non scrive a vanvera: nella sua follia c’è del metodo, ed è metodo rivoluzionario. Lui è la prova vivente che il salvinismo non è un partito, è un processo
“Sparino pure i militari, gli eroi, le loro cannonate: lui sparacchia a vanvera i suoi endecasillabi”. Sostituite endecasillabi con tweet, e la satira gaddiana su Foscolo si adatta a meraviglia ai tanti posati intellettuali che si sono radicalizzati nella madrasa dei social network fino a diventare terroristi suicidi del sovranismo (il suicidio, va da sé, è quello della reputazione). Il caso di Marco Gervasoni, autore del marinettiano “Sea Watch bum bum”, è tuttavia ben più interessante. A differenza di un Bagnai, a cui si deve il celebre “quando scorrerà il sangue, avermi detto in un orecchio che l’euro è una stronzata non vi salverà”, Gervasoni, storico stimato, non è mosso dal risentimento incendiario del déclassé o dell’accademico marginale; e se scrive, dopo la nomina di Manfredi, “ne terremo conto, una volta al governo” – l’ultima di molte sparacchiate dal vago suono minatorio – non lo fa a vanvera: nella sua follia c’è del metodo, ed è metodo rivoluzionario. Gervasoni ha studiato così a lungo e a fondo la Francia da aver contratto suo malgrado quella che Michel Winock chiamava “fièvre hexagonale”, il virus della “guerra civile perpetua” (Mauriac). Ripudia il giacobinismo, si è scelto Chateaubriand come avatar, ma nelle sue quotidiane incitazioni è molto più che giacobino, è il leninista via Twitter della rivoluzione conservatrice. Altri si baloccano con la chimera della Lega moderata, si votano al santino per le allodole Giorgetti. Lui no, e per questo dobbiamo essergli grati: è la prova vivente e spavalda che il salvinismo non è un partito, è un processo. E’ totale Mobilmachung – e tutto il resto è wishful thinking.