L'equivoco del Diciannove
Osservandolo dall'alto, quello tra il 1919 e il 2019 appare un dilemma più che altro vestiario: tra il "vestito per gobbi" e la "camicia di forza"
Dalla mezzanotte e un minuto di ieri la parola “diciannovismo” potrà generare equivoci: 1919 o 2019? Il primo, dai tempi di Nenni e Togliatti, è diventato sinonimo di “rivolta irrazionale senza prospettive, antiparlamentarismo, eversione inconcludente, nichilismo distruttivo, movimentismo istintivo e preideologico segnato da contaminazioni tra ‘opposti estremismi’”, riassume lo storico Roberto Bianchi in “1919. Piazza, mobilitazioni, potere” (Bocconi Editore). Osservato da vicino e senza il filtro dei dibattiti successivi, dice Bianchi, il 1919 ci appare però come un anno ben poco diciannovista. Ebbene, propongo di fare l’esercizio simmetrico, e di guardare il nostro 2019 da lontanissimo – come nella foto astronomica di Mattarella. Da quella distanza siderale si distinguono nitidamente i lineamenti di un dilemma familiare, così familiare che Carlo Tullio-Altan – uno dei pochi che seppe osservare l’Italia, se non dallo spazio, da una torre panoramica sufficientemente elevata – lo considerava la regola occulta della storia nazionale. È un dilemma vestiario: tra il “vestito per gobbi”, formula con cui Giolitti definiva la sua politica di mediazione trasformistica cucita su misura per un paese stortignaccolo, e la “camicia di forza” delle stagioni in cui è di moda lo stile autoritario. Noi stavamo infilando le braccia in una camicina psichiatrica dalle maniche bloccate, ma poi ad agosto, al momento di serrare la cinghia, abbiamo optato per un completino per gobbi più deforme del solito. Il nostro Diciannove, visto dallo spazio, è tutto qui.